Welfare

Se ne esce con le reti

di Flaviano Zandonai

Ormai la ricetta è chiara. L’ingrediente non è nuovo, ma cambia il dosaggio. L’uscita dalla crisi è indissolubilmente legata alla creazione, al rafforzamento o forse meglio alla ristrutturazione e all’innovazione delle reti d’impresa. Le for profit lo hanno ben capito e infatti c’è grande attenzione per i nuovi strumenti di networking in grado di sostenere uno specifico fattore di successo: l’ampliamento dei mercati di sbocco dei beni e dei servizi, consentendo anche a imprese di piccole dimensioni di internazionalizzarsi per non morire e per continuare a crescere. Basti pensare che le principali organizzazioni datoriali delle PMI italiane stanno facendo lobby a Bruxelles per vedersi riconosciuto in chiave europea quello che oggi è lo strumento per loro più efficace: il contratto di rete. Ne sono consapevoli anche i soggetti che supportano l’azione imprenditoriale, banche in testa. Qualche giorno fa il presidente di Federcasse – l’associazione di rappresentanza delle banche di credito cooperativo – affermava che le bcc, banche tipicamente locali, dovranno infrastrutturarsi per seguire i loro migliori clienti sui mercati esteri, evitando di consegnarli alla concorrenza delle banche multinazionali. E le imprese sociali? Non sono così indietro, per effetto del solito senso di inferiorità. Diciamo che sono impegnate in un’operazione piuttosto complicata: rovesciare la frittata, trasformando i loro network da strutture di supporto che agiscono in retroguardia a front office (anche attraverso un luogo fisico); una vera e propria da porta d’accesso a filiere di servizi che ricompongono i loro beni di relazione: inclusione, cura, educazione, ecc. Se ne parlava oggi con make a change (grazie per le suggestioni!) a proposito di economia carceraria. Le carceri scoppiano e la solita soluzione / non soluzione – chiesta pure dalla Cei – è l’amnistia. Pochi pensano a mettere in rete le tante e buone iniziative di inclusione sociale attraverso il lavoro attive nelle carceri, ma non attraverso network di rappresentanza e neanche di coordinamento leggero, ma piuttosto attraverso una piattaforma produttiva che consenta di interfacciare il sistema for profit (ad esempio per quanto riguarda la produzione artigianale e fashion). E’ meno complicato di quel che sembra e l’effetto moltiplicatore sarebbe davvero importante: miglioramento della qualità della produzione, incremento del giro d’affari e soprattutto soluzione di un grave problema sociale perché è dimostrato che la recidiva diminuisce – e di molto – se il carcerato segue un percorso di inserimento lavorativo. Una soluzione win-win, che accetta la sfida dei grandi numeri (soprattutto a livello di beneficiari delle attività) e che peraltro potrebbe essere realizzata utilizzando la bistratta legge sull’impresa sociale. E’ solo questione di tempo, speriamo poco.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA