Welfare

Mercato puro

di Flaviano Zandonai

E’ il mantra più in voga, recitato da tanti ormai. Ad iniziare dagli stessi imprenditori sociali che hanno una gran voglia di sganciarsi dalle commesse pubbliche per vendere servizi di welfare direttamente ai cittadini e alle famiglie, senza alcuna intermediazione di gare, accreditamenti, voucher, ecc. Welfare finanziato out of pocket per capirci. Ma lo stesso imperativo è sostenuto da enti finanziatori, soprattutto quelli che operano in veste di venture capitalist, e da strutture di supporto. Presa in termini manageriali la questione è semplice, quasi banale e per niente specifica. Per tutte le imprese, infatti, l’allargamento e la diversificazione dei clienti e dei mercati rappresenta una priorità. Solo che per le imprese sociali la questione investe soprattutto la dimensione strategica e addirittura identitaria. Uscire dall’arena pubblica, o ridimensionarne la rilevanza nel conto economico, e allargarsi in quella privata consente infatti di lanciare importanti messaggi a svariati interlocutori. Messaggi che, ad esempio, dicono: “siamo un’impresa vera”, “non siamo parastato” e via discorrendo. In questo senso il riferimento al mercato puro può essere considerato la più importante azione di management simbolico varata dalla cooperazione sociale. E se lo si interpreta in questo modo si può anche sorvolare su fatto che il mantra contiene elementi di ambivalenza del tipo: i mercati sono anche pubblici e inoltre ci sono moltissime imprese for profit che agiscono in veste di fornitori della Pubblica Amministrazione e che si guardano bene dall’abbandonare questa arena mercantile. Perché nonostante le difficoltà strutturali e contingenti il mercato pubblico è un buon mercato, sia per dimensioni – piaccia o non piaccia la maggior parte delle risorse per il welfare sono di gran lunga pubbliche – sia per strutturazione – basti pensare che, almeno fino in epoca recente, le cooperative sociali erano bancabili anche perché portavano in dote contratti firmati con enti pubblici. Ma, come si diceva, non basta: non solo perché le risorse pubbliche sono soggette a tagli e neanche perché la dipendenza dal pubblico provoca problemi di colononizzazione organizzativa, ma per una ragione sempre di natura simbolica, legata alla mission di queste imprese. Oggi, ancor più di ieri, l’obiettivo di produrre beni e servizi di interesse generale non coincide con gli obiettivi della sola Pubblica Amministrazione perché le scelte di quest’ultima sono sempre più determinate dalle preferenze del suo “elettore mediano” e di altri importanti stakdeholder dei servizi sociali. Basta guardare la redistribuzione della spesa pubblica per il welfare municipale per rendersene conto. Ecco allora che il mercato puro può rappresentare una via, non l’unica peraltro, per realizzare con maggiore efficacia il finalismo dell’impresa sociale. In questo senso, il mantra può continuare ad essere recitato.


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