Succede sempre così. Per vedere meglio le cose che hai sotto gli occhi è meglio alzare lo sguardo. E’ un passaggio talmente semplice e scontato che spesso ci si scorda di farlo. Nel caso dell’innovazione sociale è un errore imperdonabile perché senza un quadro di senso il rischio è la polverizzazione di iniziative che, al massimo, riescono solo a rallentare i meccanismi del sistema economico e sociale dominante. Altro che sovvertirlo. Ma c’è anche il rischio che senza riferimenti a dati d’esperienza lo stesso quadro si faccia evanescente o addirittura controverso, non lineare. Tanto per essere chiari: una delle esperienze italiane di innovazione sociale più citate è (o era, fate voi) San Patrignano; vedremo cosa succederà con la nuova gestione post Muccioli che si dichiara “più collegiale“. Ma al di là dei casi più evidenti c’è anche il vissuto personale che ti sbatte davanti al naso il cortocircuito tra innovazione sociale e sviluppo locale. La settimana scorsa dovevo andare con altri genitori a tinteggiare la scuola materna a pochi giorni dalla riapetura. Alla fine non se ne è fatto nulla, si è preferito chiamare un pittore professionista. Forse va bene così. Certamente farà il lavoro meglio di noi. Però, a pensarci bene, è stato come riavvolgere il nastro di una piccola, grande storia di attivismo comunitario. La scuola materna era una cooperativa di genitori (una coop di utenza si direbbe oggi) nata negli anni ’70 e ospitata negli stabili della parrocchia. Poi si è federata e la rete ha contribuito, probabilmente insieme al crescente carico burocratico, a una progressiva deresponsabilizzazione dei genitori. “Ci pensa la Federazione ora!”. E così la cooperativa si è trasformata in una più leggera associazione non senza un clamoroso colpo di coda. Qualche tempo fa la Provincia di Trento (il potere centrale) ha deciso di chiudere la scuola senza minimamente guardare allo sviluppo urbanistico del paese che intanto cresceva in quanto cintura cittadina. La comunità ha tenuto duro, non ha chiuso del tutto. Ha messo in piedi una ludoteca che ha gestito il delicato e pericoloso interregno, perché si sa benissimo che quando un servizio chiude è molto complicato riaprirlo. Una bella storia davvero. Che avrei potuto contribuire, nel mio piccolo, a portare avanti. Prendendo il pennello in mano e pensando, tra una mano e l’altra, che anche io stavo facendo, per dirla alla Cameron, la Big Society.
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