Welfare

Il risultato è il metodo

di Flaviano Zandonai

La cosiddetta “ricerca sociale”, quella che indaga fenomeni variamente riferibili alla vita collettiva e alle sue forme organizzative non fa eccezione rispetto alla ricerca & sviluppo industriale. E’ sottoposta alle stesse pressioni della committenza e dell’ambiente sociopolitico rispetto alla generazione di risultati, di output che siano immediatamente spendibili per l’avvio, la ristrutturazione o anche la gestione ordinaria di iniziative che, a diverso titolo, hanno a che fare con i fenomeni oggetto di studio. Anzi, a ben vedere, nel caso della ricerca sociale le sfide sono ancore più ardue considerando sia la natura degli oggetti – attività e servizi ben poco “industrializzabili” – sia le caratteristiche, contingenti e strutturali, del contesto. Tanto per capirci: qualcuno è in grado di prefigurare l’evoluzione del welfare anche solo nel breve periodo? Ecco quindi che un compito molto rilevante per chi gestisce progetti di ricerca sociale, sia in veste di esecutore delle attività che di committente, consiste, o dovrebbe consistere, in una focalizzazione dei risultati non solo sul prodotto finale e sui suoi contenuti, ma anche sul metodo. Una buona ricerca sociale lascia in eredità non solo tabelle statistiche, sintesi di focus group, estratti di interviste, ecc. ma anche indicazioni metodologiche rispetto al mantenimento in essere – in forme e modalità diverse – del processo di raccolta ed elaborazione di informazioni che alimenta la produzione di servizi dalle componenti costitutive davvero peculiari: relazionali e di interesse collettivo. Non si tratta quindi di sfuggire rispetto all’imperativo dell’utilità della ricerca, ma piuttosto di realizzarlo compiutamente. Altrimenti l’indagine stessa rischia di tramutarsi in una specie di “cattedrale nel deserto”, come certi impianti indutriali calati dall’alto senza considerare risorse e peculiarità locali. Sappiamo bene come è andata a finire.


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