Welfare

Modelli di rappresentanza

di Flaviano Zandonai

Non siamo la Confindustria” precisa il Portavoce del Forum del terzo settore Andrea Olivero, commentanto il titolo di un articolo pubblicato domenica scorsa dal Corriere della Sera e intitolato, appunto, “Sì alla Confindustria del sociale“. Un pezzo tutto dedicato alla voglia di dar vita a una (nuova) rappresentanza (unitaria) del terzo settore. Dal punto di vista comunicativo il titolo del Corriere non era male, attirava l’attenzione e forse non occorreva precisare. Ma tant’è, l’occasione è buona per un confronto sui modelli di rappresentanza; un ambito che dopo decenni di immobilismo da guerra fredda sta evolvendo in modalità relativamente nuove: rete imprese italia, alleanza delle cooperative italiane, forum delle associazioni cattoliche del lavoro, ecc. Paradossalmente c’è il rischio che l’ultimo venuto nell’agone delle parti sociali vecchio stile – il terzo settore – venga spiazzato dai mutamenti, anche solo per mero restyling, delle rappresentanze dei soggetti tradizionali: associazioni datoriali, sindacati dei lavoratori, reti di soggetti pubblici. A queste vanno aggiunte le sollecitazioni provenienti dalla base del movimento, ad esempio le reti di agricoltura sociale, i network dei gruppi di acquisto solidale, ecc. Quale rappresentanza dunque per il terzo settore? Se si dice no a Confindustria significa che si rinuncia alla lobby sui decisori politici e, in misura minore, ai servizi reali a supporto degli associati. Due funzioni classiche della rappresentanza e che oggi, come testimonia la stessa Confindustria, sono in crisi. Rimane, come afferma lo stesso Olivero, il modello di rappresentanza come capacità di progetto, cercando a tal fine di integrare vocazioni e competenze diverse. Insomma un Forum che agisce quasi come un’Agenzia di sviluppo sostenendo tutti quegli attori in grado di contribuire alla produzione di una particolare categoria di beni: quelli comuni. Una missione davvero impegnativa dalla quale derivano alcune importanti conseguenze: meglio agire localmente (e quindi un Forum nazionale a servizio dei locali, in buona parte ancora da costruire); meglio riconoscere le differenze interne (demarcando con chiarezza, ad esempio, la distinzione tra terzo settore produttivo e di adovocacy); meglio fare questo tipo di rappresentanza con qualcun altro (ad esempio le reti di PMI che, in alcune parti, sono interessati a sostenere una relazione con il terzo settore per la rifondazione dei sistemi di welfare). Chissà come andrà a finire. Forse anche Confindustria può insegnare qualcosa.


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