Welfare

Dove sta la comunità?

di Flaviano Zandonai

Passa il tempo ma l’espressione “impresa di comunità” non sembra perdere smalto nonostante se ne continui a parlare, a volte fuori luogo. Oggi l’accostamento più in voga è con i “beni comuni”, ad indicare che la produzione, meglio la rigenerazione, di beni di interesse collettivo richiede modelli imprenditoriali sui generis che, appunto, prevedono una qualche forma di coinvolgimento dei tessuti comunitari. Tutto molto bello, ma il problema è come avviene questo coinvolgimento. Ci sono almeno due percorsi. Il primo consiste nel riconoscere la comunità come il destinatario di iniziative e progettualità specifiche che si collocano a margine dei processi produttivi che rappresentano il “core” dell’azione imprenditoriale. In pratica una politica di responsabilità sociale, e poco importa che a portarla avanti siano imprese cooperative che “tornano sul luogo del delitto”, presso quelle comunità che, di fatto, sono state a suo tempo vittima di processi di riorganizzazione che hanno privilegiato la crescita dimensionale, le economie di scala e l’organizzazione tecnocratica. Un faticoso, e non so quanto efficace, cammino a ritroso. Il secondo percorso riconosce invece la comunità come asset d’impresa, rendendola effettivamente partecipe della produzione e della governance d’impresa. Una cosa ben diversa ed anche ben più complicata considerando che i processi di aggregazione comunitaria richiedono di carotare fino alle radici storico culturali che sono sempre meno mediate dalle istituzioni tradizionali (chiese, partiti e organizzazioni derivate) e insieme di aggregare portatori di bisogni e interessi che tendono a differenziarsi piuttosto che a mutualizzarsi intorno a questioni chiaramente definite come di “interesse comune”. Però chi riesce in questo investimento vedrà remunerato il proprio capitale… sociale e non solo.


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