“Vogliamo vedere il programma”. Così alcuni esponenti politici, prima di compiere l’ormai famoso “passo indietro” (quasi come un tanguero), dando il via libera al governo Monti. Nella breve attesa non è difficile raccogliere informazioni piuttosto precise in merito. Negli ultimi mesi, infatti, il presidente incaricato è intervenuto più volte sui giornali e in televisione per illustrare la sua ricetta per mettere le briglie al deficit e stimolare la crescita. Se poi non ci si volesse limitare ai formati succinti dei mass media si potrebbe leggere un altro importante documento. Si tratta di un recente rapporto curato per conto della presidenza della Commissione Europea e che è servito per elaborare uno dei più importanti atti di riforma dell’Unione Europea: il single market act. Il rapporto contiene analisi e proposte di policy volte a rilanciare il modello di mercato europeo che negli ultimi anni ha perso capacità di presa come collante dell’Unione. Indicazioni che senza troppe difficoltà potrebbero diventare il programma di governo nazionale. Ad esempio in tema di liberalizzazioni. Monti è molto chiaro da questo punto di vista: se per la produzione industriale e manifatturiera si è assistito alla creazione di un vero e proprio mercato unico, nel campo dei servizi rimangono ancora molte barriere che limitano la concorrenza. Ecco quindi la necessità di intervenire per aprire il mercato dei servizi ad esempio eliminando ordini professionali, creando un autentico mercato per la fornitura dei servizi pubblici locali, ecc. Chissà come intenderà operare nel campo dei servizi di welfare: liberalizzazione o riconoscimento del loro carattere di “interesse generale” e quindi eslusione (o limitazione) del principio regolatore della concorrenza? Steremo a vedere, perché la materia è di notevole interesse e di grande attualità. Basti pensare ai sistemi di accreditamento in campo socio assistenziale che molte regioni italiane stanno implementando proprio in questi mesi. I fornitori che ne entrano a far parte – cooperative sociali e altri soggetti non profit soprattutto – vengono irregimentati nel sistema dell’offerta pubblica per lassi temporali non indifferenti (fino a nove anni in qualche caso), a tariffe concordate e soprattutto con una quantità e qualità predeterminata dell’offerta di servizi. Gli enti accreditati ci guardagnano evitando gare d’appalto di breve periodo e incentrate solo sul criterio del risparmio economico, ma che fine farà l’innovazione nell’offerta che, di solito, si stimola attraverso la scelta tra opzioni concorrenti auspicabilmente da parte dei diretti interessati (i cittadini beneficiari)? Non è che gli accreditamenti si configurano come una sorta di “statalizzazione” dell’offerta di servizi di welfare, in una fase in cui gli enti locali faticano sempre più a trovare risorse? Questioni rilevanti, in attesa del programma.
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