Welfare

Vent’anni e qualche ruga precoce

di Flaviano Zandonai

Chiosava così una chiaccherata post convegno il presidente di una cooperativa sociale, prima di apprestarci a un pranzo romagnolo con tanto di vista sulle colline faentine. I vent’anni sono quelli della legge 381 sulla cooperazione sociale che sono stati e saranno celebrati in svariate occasioni. Una è in corso di svolgimento a Roma ed è organizzata da Federsolidarietà, la federazione che all’epoca giocò un ruolo centrale per l’approvazione di una norma che ha fatto scuola anche all’estero. In ogni caso le rughe precoci non sono della norma, anche se si moltiplicano le richieste di modifica, ma delle imprese che ad essa si rifanno. Una popolazione di circa 13mila unità, piccola se misurata su parametri macro (vale poco meno di 1 punto del Pil), ma grande se si segmenta il campo. Ad esempio il 30% degli addetti del settore servizi sociali e assistenziali lavora in cooperative sociali e più della metà delle strutture di welfare semiresidenziali e diurne è gestito da queste stesse imprese. Dunque perché questi vent’anni si sentono tutti? Le ragioni sono molte e non è facile generalizzarle a un comparto molto sfaccettato al suo interno. Sintetizzando si potrebbe dire che il progetto di innovazione sociale della cooperazione sociale richiedeva una coalizione ampia di attori con il quale condividerlo e realizzarlo. E invece si è puntato su un solo partner: l’amministrazione pubblica. Che ha certamente contribuito alla crescita del settore, alla sua scalabilità dimensionale direbbero gli informatici. Ma gli stessi informatici direbbero anche che questo rapporto privilegiato (per non dire esclusivo) ha generato un collo di bottiglia per lo sviluppo. Basti pensare ai capitolati d’appalto al massimo ribasso o, quasi peggio, agli odierni sistemi di accreditamento che “blindano” l’offerta conformandola alle preferenze di una pubblica amministrazione sempre meno capace di rappresentare “l’interesse generale della comunità”. Da qui l’invecchiamento precoce almeno di una parte della cooperazione sociale che ora si trova, nel bel mezzo della sua prima importante crisi di crescita, a ripensare il proprio modello di sviluppo seguendo due strade. La prima proponendo servizi ispirati a logiche produttive non riconducibili a quelle della pubblica amministrazione ma piuttosto quelle del business (ad esempio le reti in franchising). La seconda investendo sul capitale più prezioso e però fin qui poco sfruttato: gli oltre 4 milioni di persone e famiglie che usufruiscono, spesso senza neanche saperlo, dei suoi prodotti e servizi. Basterà un sano un sano stretching del viso per recuperare la tonicità perduta? Considerando che nel frattempo altri soggetti d’impresa stanno usando massicce dosi di botox per costruirsi un profilo sociale presentabile. Auguri.


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