L’argomento è trito in questo blog. Ma è un buon segno perché vuol dire che gli stimoli non mancano. L’ultimo in ordine di tempo è il dato della Coldiretti: potrebbero nascere ben 43mila nuove imprese agricole grazie alla cessione dei terreni di quel gran latifondista che è lo Stato italiano. Non so come abbiano fatto a calcolare la cifra, ma ne propongo un’altra a corredo. Anzi si tratta di una percentuale: un misero 1% di queste imprese da costituire nella forma di imprese agricole sociali. Quattrocentotrenta unità in tutto. Poca roba in termini assoluti, ma che potrebbe generare un contributo importante per rafforzare la massa critica di un settore – quello dell’agricoltura sociale – che negli ultimi anni si è caratterizzato per una chiara dinamica di innovazione sociale. Che si tratti di cooperative sociali di tipo B o di imprese agricole riconvertite all’inclusione sociale poco importa. Conta il risultato che si potrebbe raggiungere senza troppi sforzi, sfruttando l’onda di un movimento che è già orientato in questa direzione, anche grazie al contributo delle organizzazioni agricole tradizionali. Una nuova declinazione del macro tema dei community asset, peraltro già ben strutturata nel Regno Unito. Per chi volesse approfondire il caso italiano, in questa e altre declinazioni, l’appuntamento è fissato al prossimo 29 novembre a Milano, come da invito.
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