Cultura

Sua Eminenza disse: Universale, non globale

Lo scorso anno Tettamanzi ha pubblicato il suo pensiero su sviluppo e povertà. Un libro pieno di spunti interessanti su mercato, microcredito. E...

di Ettore Colombo

Tutti vogliono sapere chi è e come la pensa Dionigi Tettamanzi, il nuovo arcivescovo di Milano. E gli strumenti davvero non mancano. In libreria prolificano suoi scritti sui più diversi argomenti. C?è il volume appena uscito per Mondadori, Le ragioni della mia speranza. Poi c?è il Tettamanzi appassionato studioso di bioetica (il suo ultimo lavoro in tema è il Dizionario di bioetica, edito da Piemme). E non manca una biografia scritta dal giornalista Luciano Moia, Con il cuore a Milano (Ancora), che ne traccia vita e opere, dai primi passi mossi nella parrocchia di Renate Brianza alla penultima tappa del suo viaggio, Genova. Città dove ha incontrato il popolo di Seattle, il G8 e la globalizzazione, subendo anche dure critiche, ma temi su cui rifletteva da tempo, come dimostra un piccolo e prezioso libretto pubblicato da Piemme nel 2001: Globalizzazione, una sfida. Nel 1998, infatti, Tettamanzi già analizzava, con dovizia di riferimenti economici e filosofici, la portata e gli effetti della globalizzazione, richiamando le posizioni di Giovanni Paolo II e Paolo VI sul tema, ricollegandosi direttamente ai Vangeli («L?assolutizzazione dell?economia è fonte di idolatria»), citando economisti come Ralph Dahrendorf, Paolo Savona, Stefano Zamagni. «Occorre un nuovo spazio politico», esorta , «e il passaggio dall?economia alla politica». Rivendica «il primato indiscutibile dell?uomo» Tettamanzi, e chiede di «trovare il centro del cerchio». Ma le analisi del cardinale si affinano via via, analizzando anche tutte le istituzioni internazionali e nel 2000, anno del Giubileo, già propone, come via d?uscita, il ?glocal?, mix di ?globale e locale?. Nella sfida tra Stato e mercato, chiede ritrovi slancio «il primato della persona» e guarda con favore alle esperienze del microcredito e alle banche dei poveri del Bangladesh. Nel 2001, infine, il pensiero dell?arcivescovo si fa acuto proprio in prossimità dei difficili giorni del G8: chiede «cultura delle regole, tutela dei diritti umani, politica fatta per l?uomo e uomo come fine», ma soprattutto «un nuovo e diverso progetto di sviluppo che promuova una reale equità distributiva, un preciso fondamento di valori condivisi da ritrovare in un villaggio-mondo dove ci si riconosce». «Se i mercati dettano legge», spiega, «la sfida della solidarietà non sta più nella rigida contrapposizione ricchezza-povertà, ma nell?assicurare, come dice il Papa, una globalizzazione nella solidarietà e priva di marginalizzazione, prendendo impegni concreti e precisi verso i poveri: la remissione del debito, misura doverosa ma minimale di un debito che non ha ragione d?essere». L?obiettivo, per Tettamanzi, è «sviluppare una cultura alternativa a quella della globalizzazione, che parta da una visione integrale dell?uomo, riconosciuto come persona». Scrive nei suoi appunti inediti riportati in calce al libro: «La Chiesa si definì universale, non globale». Questione di termini? No, questione etica di chi legge la globalizzazione «con le categorie della migrazione, del viaggio». E «dimensione migratoria che deve saldare globalizzazione e cuore dell?uomo. Come nell?accoglienza degli immigrati, ad esempio, unendo globalità umana e località accogliente». Parole sante, cardinale.


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