In attesa di bloccare i 400 milioni di sterline recuperati dai conti dorminenti e di completare la raccolta presso investitori privati, il fondo Big Society Capital scalda i motori finanziando quattro iniziative, casi pilota come si suol dire. Le risorse sono poche, poco più di 3 milioni di sterline, ma è interessante guardare a chi e soprattutto a cosa è stato finanziato per inquadrare i campi di applicazione del fondo quando sarà a regime. La quota maggiore, un milione, va a un franchising sociale che offre servizi all’impiego per disoccupati di lungo periodo. La parte rimanente va a sostegno di altri fondi. Il primo è il Community Generation Fund che, come dice il nome, sostiene imprese sociali e comunitarie in aree depresse. Il secondo sostiene lo start up del nuovo mercato borsistico a favore delle imprese sociali (Social Stock Exchange). Il terzo va a rinforzare un progetto di microcredito per giovani gestito dalla Triodos Bank. Come si diceva i soldi sono pochi, ma dai campi di applicazione di possono ricavare lezioni utili anche per altri fondi che, con tutta probabilità, seguiranno quello inglese sulla scia della Social Business Initiative della Commissione Europea. In particolare è evidente, da un lato, la ricerca di un effetto leva da parte della finanza pubblica rispetto a iniziative già dotate di risorse, secondo una logica di azione che assomiglia molto a quella dei “filantrocapitalisti”. D’altro canto emerge il crescente interesse per il franchising come forma di organizzazione e di regolazione delle reti tra imprese sociali; un modello che peraltro si sta affermando un pò in tutta Europa. Infine, interventi che mixano tradizione e innovazione: sviluppo comunitario e borsa sociale.
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