Peccato! Solo per qualche ora e Vita poteva aprire l’anno dell’impresa sociale non solo con lo scoop del Teatro dell’Elfo che ha aderito alla nuova (si fa per dire) norma italiana sull’impresa sociale, ma con l’ulteriore notizia (fonte Economist) che Patagonia (quella del “pile”) ha assunto anche essa lo status formale di impresa sociale, o meglio di benefit corporation ai sensi di una nuova (questa sì) legge della California che peraltro si sta diffondendo in altri stati dell’Unione. Poco male comunque perché l’occasione è giusta per seguire con più attenzione i percorsi di sviluppo di nuove forme giuridico istituzionali di impresa sociale. Come ad esempio fa l’inglese The Guardian che informa del crescente successo delle Community Interest Company inglesi ormai giunte a quota seimila unità, dando vita a reti e coordinamenti a livello locale e nazionale. E qui, purtroppo, emergono i limiti del progetto normativo italiano: solo 350 imprese sociali, uno smacco rispetto agli inglesi, considerando che le due leggi sono state approvate più o meno nello stesso periodo (metà anni ’00). I limiti nostrani sono almeno di due tipi. In primo luogo un dettato normativo complesso e troppo vincolante in alcuni aspetti, in particolare per quanto riguarda la distribuzione degli utili generati dall’attività d’impresa. Il divieto italiano è draconiano – anche rispetto alle forme giuridiche preesistenti come la cooperazione sociale – mentre invece nel caso inglese e americano è possibile distribuire utili seppur in forma “calmierata”, attraendo così investitori pazienti e socialmente orientati. Il secondo limite è informativo e promozionale. E per rendersene conto è sufficiente guardare al sito del Regulator (una sorta di authority) delle Community Interest Company: completo, ricco di notizie, case studies, dati, pacchetti informativi. Ma non è il caso di indulgere troppo con le lamentele (anche perché ci sono ben altri motivi per farlo), piuttosto si tratta di insistere nella promozione di nuovi modelli per organizzare e gestire imprese che in qualunque settore, ambito territoriale e assetto normativo producono beni di interesse collettivo. Un impegno importante da portare avanti proprio in questo 2012 durante il quale si celebrerà la cooperazione – il modello antesignano dell’impresa sociale – e si affermerà ulteriormente l’innovazione sociale come nuovo paradigma della produzione di economia e socialità.
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