La questione dell’IMU, la nuova imposta sugli immobili da far pagare alle strutture religiose e più in generale al settore non profit potrebbe contribuire, come effetto collaterale, a far riemergere una questione molto importante e fin qui affrontata con scarso successo, ovvero la dimensione produttiva e imprenditoriale dello stesso comparto non profit. A comprenderne la rilevanza, se così si può dire, è stato lo stesso premier che nel corso di un inatteso intervento in Commissione Industria del Senato è stato chiamato a identificare i criteri che definiscono il carattere commerciale o meno di un servizio scolastico gestito da un soggetto privato. Operazione, per bocca dello stesso professor Monti, tutt’altro che semplice. Tre gli indicatori da lui proposti: 1) la rilevanza sociale dell’attività che viene approssimata guardando soprattutto alla coerenza dei programmi scolastici con quelli proposti nella scuola pubblica; 2) l’accessibilità del servizio, in coerenza con il principio costituzionale che sancisce parità di condizioni tra i cittadini; 3) il carattere non lucrativo, prevedendo che gli utili siano reinvestiti nell’attività educativa. Quali potranno essere gli effetti di questi indicatori rispetto al pagamento o meno della nuova imposta non è ancora chiaro. Ma certamente si potrebbe sostenere che la forma giuridica dell’impresa sociale potrebbe soddisfare certamente l’ultimo dei tre criteri, e probabilmente anche i primi due. Se così fosse si assisterebbe a una massiccia migrazione di scuole paritarie verso l’impresa sociale. Un pò come accadde qualche anno fa, seppure per pochi casi, grazie a una norma contenuta nella legge finanziaria del 2007 che assegnava contributi economici a scuole private a patto che queste ultime assumessero una delle forme giuridiche di tipo non lucrativo (tra le quali l’impresa sociale). E’ forse questa una delle modalità attraverso cui si vuole premiare il “vero non profit”, come affermava qualche giorno fa il ministo Passera? Staremo a vedere.
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