In tempi così duri viene spontaneo rinserrare le fila per salvare il salvabile. Nel caso del welfare si limitano i danni derivanti dai tagli alla spesa pubblica usando strumenti come l’accreditamento per “blindare” i servizi essenziali. Si può discutere, e a lungo, su quali siano i servizi da mettere in sicurezza e se questa operazione di salvataggio sarà effettivamente in grado di reggere l’urto della crisi. L’aspetto più rilevante riguarda però il destino dei servizi che finiscono fuori dal perimetro centrale e che quindi sono destinati a essere ridimensionati o chiusi. E’ difficile ricostruire il quadro di questo welfare sfilacciato. Nella gran parte dei casi si tratta di iniziative già nate periferiche e precarie: sperimentazioni di servizio spesso incentrate sull’abilitazione degli utenti e delle reti sociali e sostenute non grazie a risorse ordinarie ma a finanziamenti specifici (fondo sociale europeo, contributi di fondazioni) e gestite da fornitori allergici agli accreditamenti (terzo settore e imprese sociali comunitarie). Insomma le vittime predestinate della “path dependence” che induce i policy makers a non abbandonare il percorso dettato dalle linee guida standard. Un vero guaio perché il rischio è di far fuori la parte di autentica innovazione sociale del welfare e che per di più costa poco e genera un elevato impatto in termini di benessere e qualità della vita. Più che di un piano di salvataggio in questo caso servirebbe un piano di ristrutturazione del modello di business di questi servizi, riposizionandoli all’interno di un più ampio contesto di terziario sociale. Per farlo servono nuove risorse, politiche e incentivi con l’obiettivo di far emergere una nuova generazione di imprenditori sociali soprattutto attraverso percorsi di intrapreneurship, cioè dall’interno di organizzazioni preesistenti. Gli enti pubblici sono pieni di professionisti che ormai da tempo gestiscono molti dei servizi oggi a rischio. E in diverse organizzazioni di terzo settore e di impresa sociale, accanto al core business dei servizi accreditati, esiste una pletora di progetti e iniziative che chiedono, e in fretta, di essere messe a regime, magari utilizzando il caro vecchio strumento dello startup per spinoff. Sostenere un’imprenditorialità diffusa di questo capitale umano in nuovi settori e con nuovi modelli d’impresa potrebbe permettere di consolidare un importante segmento di protezione sociale altrimenti destinato a sfrangiarsi ulteriormente.
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