Girovagando da turista per un mercatino della terra di Coldiretti ripensavo al “piatto forte” del nuovo numero del magazine dedicato all’agricoltura e in particolare al pezzo di Mauro Magatti sul valore politico della terra che riemerge (e in questo caso viene anche materialmente coltivata) dal mare della tecnica. Guardando ai prodotti e alle facce dei produttori al mercato contadino e leggendo le storie dei nuovi agricoltori su Vita, verrebbe da dire che la strada è ancora lunga. Rimanendo in tema è evidente il carattere residuale e fragile di queste startup agricole rispetto a un’agricoltura che nuota con disinvoltura nel mare della tecnica (spesso gestita da soggetti dell’economia sociale) e che è sostenuta da politiche come la PAC (Politica Agricola Comunitaria), dove la produzione di valore e solo o quasi di tipo economico, con buona pace di Porter e Kramer (anch’essi peraltro provetti nuotatori). Altro pensiero riguarda il ruolo dell’impresa sociale rispetto a queste nuove fenomenologie agricole. Diversi osservatori, infatti, indicano in questo e in altri settori attigui – il consumo critico ad esempio – un campo di “innovazione totale” intorno al quale costruire una nuova politica di sviluppo per queste imprese. Sarà quindi l’agricoltura sociale, il welfare collaborativo, l’artigianato di nicchia a salvare un’imprenditoria sociale che nelle sue forme più consolidate – cooperazione sociale – vive sulla propria pelle la grande crisi del sistema di welfare dal quale è scaturita? Si ridurranno queste imprese – come sostiene tra il serio e il faceto un grande esperto di protezione sociale – “a fare il welfare coi fichi secchi”? Forse bisognerebbe ricordare che queste organizzazioni, in decenni di attività, hanno costruito “nuovi spazi di vita umana associata” – la terra nel senso di Magatti – e quindi sono in grado di rimettere “la tecnica al servizio dei suoi abitanti”. Come? Investendo in tecnologia. Già alcune realtà, dimensionalmente e culturalmente evolute, stanno operando in tal senso: acquistano brevetti ed elaborano prototipi di macchine e software per migliorare i loro interventi in campo assistenziale, educativo, riabilitativo. Ma forse si potrebbe pensare a qualcosa di più avanzato. Nova, l’inserto dedicato a innovazione e tecnologia de Il Sole 24 Ore, apriva il suo numero di domenica scorsa con un progetto dedicato alla robotica di terza generazione che vede in prima fila alcune università italiane. I nuovi robot saranno sempre più a impatto sociale, capaci di intervenire nel campo del welfare sanitario e assistenziale. Il classico esempio di innovazione di lungo periodo dove ci si potrebbe aspettare un investimento – anche piccolo – da parte delle imprese maggiormente interessate, come appunto quelle a finalità sociale. Anche perché pare che la robotica non abbia mai tradito in termini di sviluppo. Dai robot di precedente generazione è nata infatti la meccatronica, oggi vista, a torto o a ragione, come la panacea di (quasi) tutti i mali della produzione manifatturiera. Nel frattempo ho acquistato una marmellata uva e fichi. Davvero notevole.
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