Uno degli elementi valore che fa apprezzare la produzione culturale -un libro, un film, un’installazione- è la capacità cogliere lo spirito dei tempi. Lo può fare in anticipo o svelarlo a posteriori. Ma l’importante è delineare o anche solo evocare l’elemento essenziale, il nucleo di senso che caratterizza un’epoca, un contesto, un determinato evento. In qualche caso ciò avviene coinvolgendo nel processo costruttivo dell’opera gli elementi naturali e sociali oggetto di attenzione. Così questi ultimi diventano, in forme e modi diversi, coproduttori. Niente di nuovo si dirà -e in effetti illustri operatori culturali mi hanno messo sull’avviso- ma comunque partecipare, a una realizzazione artistica pur non essendo artista è un fatto di grande interesse e attualità. L’attualità è legata al dilagare della coproduzione in svariati campi e in nuove forme grazie soprattutto al digitale. Ben vengano quindi tutte le occasioni in cui la coproduzione è riflessiva ed esplicitamente ricercata, ben consapevoli degli elementi di valore e dei rischi. L’interesse riguarda il management della coproduzione, il modo in cui si alimentano processi sociali più o meno spontanei attraverso una regia, una guida, un maestro che dirige e orienta. Infine l’efficacia, sia per il risultato dell’opera in sé che per l’impatto sul contesto che l’ha insieme generata e fruita. “Mercuzio non vuole morire” sarà un’esperienza di questo tipo. Una rappresentazione di teatro di massa che rilegge Romeo e Giulietta di Shakespeare e che coinvolgerà cittadini, enti e istituzioni della città di Volterra e dintorni. Una co-produzione culturale che promette bene anche sui versanti della coesione sociale e, perché no, dello sviluppo locale. E non a caso dietro le quinte di un’opera simile c’è la Compagnia della Fortezza. Nei fatti, un’impresa sociale.
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