Il gestore della palestra è il ministro dell’istruzione, università e ricerca che fa il duro promettendo un training “accelerato e cattivo”. Ma considerando l’esito del percorso forse varrebbe la pena iscriversi. L’obiettivo riguarda infatti le risorse messe a disposizione dal nuovo bando “smart cities and communities”, già consistenti di per sé (circa 700 milioni di euro), ma che sono solo l’antipasto rispetto alla ben più cospicua dotazione di Horizon 2020, i fondi strutturali europei per il periodo, ormai imminente, 2014-2020. In cosa consiste l’allenamento nel ministro? Sostanzialmente nell’incentivare la competitività tra proposte progettuali capaci di fare effetto leva e non solo redistribuire briciole a una molteplicità di attori. Dunque finanziare pochi progetti di dimensioni ragguardevoli – taglia attesa 20 milioni – con pochi partner – massimo 8 – che oltre ai contenuti (ricerca e processi industriali) apportino risorse in forma di cofinanziamento e di restituzione, in quanto una quota parte sarà in forma di credito agevolato. Il tutto con una valutazione lampo delle idee progettuali – 30 giorni – e un periodo di esecuzione non troppo lungo (termine entro fine 2015). Sentito così, dalla viva voce del trainer che ieri era a Trento per presentare il bando, sembrerebbe un programma di allenamento fuori portata per l’imprenditoria sociale. E non a caso, nello stesso bando c’è un’appendice quasi costruita ad hoc sull’innovazione sociale: finanziamenti più abbordabili – fino a 1 milione di euro tutti a fondo perduto – per startup sociali proposte da under 30. Non male certamente, anche perché, per bocca dello stesso Ministro il programma social innovation verrà rifinanziato e si aggiungerà una quota di finanza di rischio. Però non si dovrebbe perdere l’occasione sul capitolo smart cities and communities. Non solo per accedere a risorse e per dimostrare la solidità del settore, ma soprattutto perché le imprese sociali e il non profit in generale potrebbero giocare un ruolo cruciale all’interno di queste macro progettualità. Nel corso della presentazione trentina infatti era curioso notare come gli esponenti dell’Information Techonology – l’ambito scientifico che monopolizza il bando – si sforzassero di ricostruire il senso sociale dell’utilizzo di queste tecnologie. Di come sia importante cioè individuare forme d’uso che “rispondano ai bisogni delle persone e delle comunità”. E chi, se non le organizzazioni sociali, sono in grado di fare questo lavoro, cogliendo l’occasione per scalare innovazioni finora solo sperimentate o implementate localmente per farne, come dice il ministro, un vero e proprio “progetto Paese”? Il problema è che finora non profit e imprenditoria sociale sono timidamente coinvolti in un confronto che, nei fatti, definisce i contenuti dell’innovazione sociale come dimostra questo bel post. Un buon motivo per iscriversi alla palestra di Profumo.
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