Welfare

La catena del welfare

di Flaviano Zandonai

“Buy social” è la nuova campagna di social enterprise UK. Un invito alle imprese sociali a comprare beni e servizi da imprese della stessa tipologia. E’ stata fatta anche un’indagine che dimostra come ci sia ancora molto spazio di azione per costruire catene di distribuzione (supply chains) caratterizzate da una elevata densità di imprese sociali. E questo nonostante non manchino le buone pratiche e, tutto sommato, esista una buona propensione di queste imprese a collaborare anche attraverso accordi commerciali di fornitura. I vantaggi sono intuibili e sono ben riassunti dai promotori della campagna in cinque punti: 1) sostenere gli elementi di valore generati internamente al settore; 2) aumentare la sostenibilità del movimento (è una misura di “autarchia anti crisi”); 3) far crescere l’economia sociale; 4) creare una massa critica di valore sociale e 5) far girare l’economia a livello locale.

Non sarebbe male riproporre una campagna simile a livello nazionale e locale. Sarebbe un modo per dare corpo a quelle “filiere” di prodotti e servizi erogati da cooperative e altre imprese sociali che però faticano a emergere e a rendersi visibili. E forse sarebbe anche una modalità per rigenerare in termini di senso, orientamento strategico e operatività le reti d’impresa sociale che storicamente rappresentano il punto di forza del modello italiano. Peralto la miglior strutturazione delle catene di produzione e di distribuzione è un asset spendibile non solo per consolidare internamente il settore, ma anche e soprattutto per offrire una migliore quantità e qualità di servizi a favore dei beneficiari finali: cittadini, famiglie, pubbliche amministrazioni, imprese, altri organismi di terzo settore.

E’ il vero vantaggio competitivo possedere non solo reti di rappresentanza e strutture di supporto, ma anche supply chains strutturate ed efficienti. Lo sanno bene – forse anche meglio delle stesse imprese sociali – i nuovi attori che si affacciano nell’arena del welfare, soprattutto quelli che intendono finanziare la domanda di servizi sociali, educativi, sanitari. Fondi d’investimento, mutue, società di gestione di voucher, ecc. hanno bisogno di contare su catene di produzione di servizio ben distribuite territorialmente e altrettanto ben articolate al loro interno. Magari non solo per offrire lo stesso servizio in vari luoghi, ma anche per mettere a disposizione una gamma di prestazioni modulabili a seconda del contesto e dell’interlocutore. Ecco quindi che “comprare sociale” non è solo un modo per rinserrare le fila e fare economie di scala, ma anche per testare la tenuta di sistemi produttivi e di distribuzione in rete che andranno a costituire l’ossatura dei nuovi sistemi di welfare.

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