Preso atto che l’innovazione sociale è mainstream – e non perché lo dice Nesta, ma perché il dossier sta sul tavolo di Barroso – bisogna venirne a patti. L’adesione a questo paradigma non é infatti nè scontata – puzzerebbe di opportunismo – nè automatica, pena il rischio per le organizzazioni sociali di fare da cinghia di trasmissione a un processo di riposizionamento di istituzioni pubbliche e imprese di mercato alle prese con qualche problemino di legittimità.
Il dibattito, fin qui, è stato deludente perché monopolizzato da una dialettica tesa alla banalizzazione: “tutta fuffa”, “lo abbiamo sempre fatto”, “noi innovatori voi conservatori” e amenità di questo tipo. Se poi si aggiunge la diffusione di un linguaggio tecnico che prescinde sempre più dai dati esperienziali e vive di vita propria nei documenti di policy, la frittata autoreferenziale é servita.
Urgono marcatori quindi. Da ricercare non solo negli esiti delle realtà che a questa prospettiva si ispirano (il famigerato impatto). Un aspetto rilevante riguarda ad esempio l’euristica, intesa come procedura e metodo di lavoro. In una presentazione di qualche tempo fa si evidenziava il carattere “fast and frugal” dell’euristica innovativa, ovvero da una parte la capacità di circoscrivere i fattori decisionali attraverso una ricerca auto limitata dei dati di conoscenza e dall’altra la velocità nel combinarli in prese di decisione che possono essere ricombinate a seconda degli esiti contingenti. Tutto molto diverso, a ben pensarci, rispetto a quanto avviene nelle organizzazioni non profit e imprese sociali. In questo caso infatti a prevalere è il movimento lento, lentissimo a volte, della riflessività dialogica. Un processo che procede per accumulazione progressiva e che scaturisce dal continuo confronto con una pluralità di attori. Può sembrare una questione astratta, ma invece da queste differenti impostazioni metodologiche discendono importanti conseguenze nel modo in cui, ad esempio, si individua il grado di rilevanza sociale dei problemi a cui rispondere. Forse é per questo che la “fast and frugal heuristics” alla base dell’innovazione tecnologica recente è alla ricerca di una maggiore socialità sia nei modelli di produzione che nelle tipologie di beni prodotti. Se non profit e impresa sociale sapranno far valere in un’ottica di dialogo la loro euristica, allora il loro posizionamento nell’ecosistema dell’innovazione sociale risulterà meno problematico e scontato di quanto fin qui descritto.
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