Qualche settimana fa ho partecipato a un seminario serale su terzo settore e disabilità. C’era pochissima gente ma quasi tutti sono intervenuti. E questo mi fa pensare all’ambiguità delle metriche d’impatto. Se l’indicatore è l’attivismo dei partecipanti la serata è andata benissimo. Se invece la misura è quella del numero di persone rispetto al bacino potenziale di popolazione residente allora è stata un fallimento.
Ma il tema non è questo. L’incontro è stata l’ennesima conferma che se il terzo settore vuole scalare la propria innovazione rendendola disponibile ad ampio raggio deve, e alla svelta, cambiare modello di partnership e forse anche tipologia di partner. Nel corso della serata, infatti, è stata presentata un’applicazione che restituisce su supporto digitale un monitoraggio sull’accessibilità di strutture ad uso pubblico da parte di persone con disabilità. La rilevazione viene condotta ormai da anni grazie al più classico degli accordi (convenzione) tra una cooperativa sociale e un’amministrazione pubblica locale. Il sistema è molto articolato e preciso: i soci della coop (molti dei quali disabili) visitano i luoghi e ne fanno una approfondita analisi dal punto di vista dell’accessibilità, sintetizzando svariati indicatori in un semaforo: luce rossa inaccessibile, gialla accessibile con qualche limitazione, verde tutto (o quasi) ok.
Il problema è che gli edifici non sono moltissimi (soprattutto in alcune aree) e la rilevazione procede a rilento. Per di più le strutture già mappate dovrebbero essere rivisitate per verificare la permanenza (o il miglioramento / peggioramento) degli standard di accessibilità. Insomma un lavoro fatto molto bene, ma dall’impatto ancora limitato. E, colmo dei colmi, l’esponente della pubblica amministrazione paventa il rischio che “qualcun altro” introduca nuovi sistemi di rilevazione non così accurati. Ora, senza voler nulla togliere ai promotori di questa bella iniziativa (anzi!), forse è proprio da auspicare che intervengano altri attori o meglio che si creino nuove partnership in grado di aumentare la pervasività e l’ampiezza della mappatura. Solo se i beni censiti sono tanti (sia in senso quantitativo che di tipologia) è possibile che l’app aiuti non solo a rilevare un problema, ma a trasformarsi in un asset competitivo per quei territori che meglio lavorano per l’accessibiità qualificando, ad esempio, la loro offerta turistica.
Bisognerebbe lavorare in due direzioni. La prima è rendere il sistema più aperto a contributi non solo di esperti ma della popolazione in generale. E per fare più crowdsourcing è necessario allentare (almeno un po’) gli schemi di rilevazione. La seconda direzione è di verticalizzare il sistema, inserendolo in aggregatori globali della domanda. Insomma bisogna che la mappa finisca su Trivago, AirB&B, ecc. Anche in questo caso prevedendo diversi dettagli di rilevazione. E la coop? Vedrei un ruolo di “certificatore” del sistema, agendo su base campionaria e come promotore di politiche di benchmarking che premiano e diffondono le pratiche migliori.
Buona estate!
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