Londra 2012: il ritorno della fame

di Marco Dotti

A Londra ci sono i Giochi Olimpici, sponsorizzati tra l’altro da una nota catena di fast food, e almeno per ora pochi, tra gli operatori della comunicazione, sembrano essersi accorti che una scandalosa epidemia sociale sta avanzando nel cuore della “Big Society”. Avanza proprio lì, attorno a Trafalgar Square, nei pressi di Piccadilly e in altri luoghi che un immaginario alquanto confuso vorrebbe consegnare a un mondo di brooker e modelle magari senza etica, ma pure senza conflitti o, peggio, a una “classe creativa” fatta di architetti, modaioli e fighetti di ogni genere, gusto sessuale e colore. Ma a noi interessano le vite vere, quelle di seconda classe, quelle che si agitano sotto la pelle della prima. E sotto la pelle di questo mondo, qualcosa di muove, e fa paura. Come titolava l’Independent, in un bel pezzo a firma Charlie Cooper pubblicato il 6 aprile scorso, è il «ritorno della fame» Quella vera, dura, nera, che talvolta uccide.

Ogni sera, a Londra, un bambino su dieci  non ha di che sfamarsi. Cambia poco il fatto che viva in casa, con genitori disoccupati o – talvolta è peggio – sottoccupati, o sia ai limiti dell’abbandono. Non si tratta, infatti, di una situazione che, in tempi di crisi generalizzata, colpisce nello specifico i ragazzi con problemi “classici”, dalla mancanza di alloggio, al vandalismo alla descolarizzazione. Al contrario, siamo davanti a qualcosa che assomiglia davvero a una epidemia latente che colpisce ragazzi che una casa quasi sempre ce l’hanno, una famiglia pure, un minimo di reddito familiare anche e prende tre sfumature possibili di senso: denutrizione, sottonutrizione e malnutrizione. Un’epidemia che ricorda quelle conseguenti alle carestie del XVIII secolo o quella durissima, descritta nella metà del XIX secolo, all’alba della rivoluzione industriale da Charles Dickens. Ai tempi di Dickens, ai ragazzi spettava, tutt’al più, un po’ di brodo di patate di terza scelta, con evidenti conseguenze su quella che allora ancora si chiamava “igiene pubblica”.

Un pasto con adeguato apporto calorico e proteico è quanto manca a bambini e ragazzi inglesi, per un concorso di situazioni che vanno dalla deresponsabilizzazione dei genitori, ai fattori di disagio profondo che colgono intere famiglie e quartieri oramai senza futuro. Perché se la sera il pasto non c’è, di giorno i ragazzi si trovano quasi sempre a mangiare junk fook, scarti, carne cruda, cose fritte di pessima qualità ma bassissimo costo.

Ogni fine settimana, sono più di settanta i ragazzi che, nella sola capitale, si rivolgono per la prima volta ad associazioni di settore come Kids Company spinti in questo da nuova fame. Il numero, in un anno, è più che raddoppiato. I ragazzi sono per lo più figli di immigrati, ma anche di impiegati che, durante l’orario di lavoro, non si premurano dell’alimentazione dei ragazzi. «I ragazzi non hanno voce, e spesso questi ragazzi si ritrovano a mangiare quello che trovano, salvo poi – dichiarano dall’associazione – manifestare gravi disturbi alimentari e comportamentali a scuola, al momento della pausa per la merenda o il pranzo. Spesso questi ragazzi non hanno cibo a casa e non hanno orari regolari. Si alimentano quando possono e come possono, questo li destabilizza».

Camila Batmanghelidjh, la fondatrice e responsabile di Kids Company ha recentemente rincarato la dose parlando di una vera e propria guerra strisciante: contro l’infanzia, contro il futuro, contro la salute di tutti. Contro la società. Perché mentre si discute di spread, di pareggio di bilancio, di numeri insomma, altri numeri ci dicono che la Londra dei più piccoli rischia di implodere per fame. E con essa molte altre città. È un problema anche di educazione e di quel processo, tipico del lavoro flessibile, che ha portato a una progressiva “desenquelizzazione del tempo”. In sostanza, lavorando a intervalli sempre più irregolari, si finisce col perdere il ritmo di vita e una mamma su cinque – così risulta da uno studio a campione di Netmums, il più importante web forum di genitori inglesi – arriva persino a dimenticarsi di preparare pranzo o cena per il proprio bambino.

Dal Trussell Trust, che supporta molti banchi alimentari europei, si segnala infine un vero e proprio boom di richieste d’aiuto. L’apertura di una nuova mensa in un nuovo quartiere, osservano dal Trussell Trust, porta alla luce nuovi casi di “fame”. Spesso, quando si trovano a distribuire frutta fresca gli operatori delle mense dichiarano di percepire stupore, sul volto dei ragazzini. Alcuni di loro non l’hanno mai vista prima». È una situazione destinata a peggiorare, anche secondo i dati dello School Food Trust – “national charity” deputata a fornire al governo i dati sull’alimentazione scolastica – laddove le scuole siano provviste di mensa, il pasto rimane l’unico della giornata per ragazzi in età scolare. Che ne sarà di loro?

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