Carità e politica. Due domande a Carlo Lottieri

di Marco Dotti

Studioso di teoria politica, liberale convinto,  fervente antistatalista Carlo Lottieri insegna all’Università di Siena e alla Facoltà di teologia di Lugano. Il suo ultimo libro è esplicito fin dal titolo: Credere nello Stato? Teologia politica e dissimulazione da Filippo il Bello a WikiLeaks (Rubbettino, 2011).

Lo abbiamo incontrato a Milano, a margine di una campagna elettorale non solo segnata da scandali e attacchi personali, ma anche da grandi temi, politici e etici, che meritano a pieno titolo di occupare la scena. Proprio su due di questi temi gli abbiamo posto altrettante domande. Eccole, ed ecco le risposte.

Individuo e persona o  gruppo e comunità? Cosa sceglierebbe?

Carlo Lottieri: Non vedo motivo di scegliere: siamo individui (singoli, indivisibili, unici, irriducibili) e siamo persone naturalmente portate a unirci agli altri, perché sempre calati in relazioni comunitarie. Una società libera è una complessità irriducibile a schemi semplificatori e ogni riduzionismo le sottrae qualcosa: condannandoci a rappresentazioni atomistiche oppure organicistiche, ma sempre unilaterali. La vera alternativa non è lì, ma nello scegliere tra la complessità dei modi e delle forme della vita sociale che spontaneamente si sviluppano in un clima di libertà, e il rigore di una vita pianificata, programmata, negata.

Carità. È un termine circondato da vergogna e sospetto. Le si preferisce “dono”. Lei come la pensa?

Carlo Lottieri: Ogni parola rinvia a storie, esperienze, tradizioni, e ogni etimologia è un deposito di significati e vicende. Ma a dispetto di tutto ciò tali termini, come tanti altri, vengono spesso utilizzati in modo nuovo, sulla base di convenzioni e/o stipulazioni. Per questo non è sempre facile districarsi in tali dibattiti.

È comunque vero che il dono svolge un ruolo cruciale: esso si basa su rapporti di reciprocità che sono assai più auto-interessati di quanto non appaia (com’è ben noto alla cultura popolare), ma al tempo stesso predispone un sistema di regole e sanzioni sociali, sebbene non vincolante, che induce a comportamenti più responsabili.

La carità ci riporta a san Paolo: a una disponibilità proiettata verso l’altro la quale non prevede, né si attende, un qualsivoglia bilanciamento. Non è un dono di compleanno che predefinisce il comportamento altrui e che quasi esige un contraccambio. Eppure anche nelle logiche caritatevoli e nell’amore per l’altro può celarsi un’insidia, quando un soggetto pretende di risolvere l’altro in sé e addirittura (assorbendolo) lo nega nella sua alterità.

Sul piano politico-sociale, ad ogni modo, queste perversioni del dono e della carità sono facilmente riconoscibili in quello che Sergio Ricossa definì “il falso sociale”: la solidarietà imposta per legge che sulle rovine di una vita pubblica responsabile costruisce i grandi apparati della redistribuzione di Stato e celebra i grandi imbrogli della Nazione, della Classe, del Popolo, e via dicendo.

Destatizzare la società mi pare la via maestra per risocializzare la vita civile.

#senzapartito

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