Politica

5 per mille, da non crederci

di Riccardo Bonacina

Da non crederci, nel Febbraio 2005, Giulio Tremonti rispondendo alle mie domande, presentò così quella che definiva “una rivoluzione fiscale”, l’introduzione del 5 per mille nella dichiarazione dei redditi a favore del volontariato e delle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale: “Il Terzo settore è l’unica speranza per produrre, con costi limitati, ma con effetti moltiplicatori quasi illimitati, la massa crescente di servizi sociali di cui abbiamo (e avremo) sempre più bisogno.  Valorizzare concretamente il terzo settore non è quindi un costo per lo Stato ma un investimento. Per questo la deducibilità delle donazioni (la + Dai – Versi) e il 5 per mille sono ispirate allo stesso rivoluzionario principio, trasferire quote di potere dallo Stato alla società”.

Ad oltre 5 anni dall’annunciata “rivoluzione fiscale”, il 5 per mille, non solo non è diventato una legge fiscale dello Stato italiano (a differenza di quanto è successo in altri 12 Paesi europei), ma nella Legge di Stabilità (alias Legge Finanziaria) ora all’esame della Camera dei deputati, la copertura per la misura sperimentale (da 5 anni!)) è stata decurtata da 400 milioni a 100. Ovvero, il 5 per mille dalla sera alla mattina si trasforma così nell’1,25 per mille, forse. Alla faccia degli impegni presi con la platea dei contribuenti (oltre 15 milioni di cittadini hanno usufruito ogni anno dell’opportunità)  e con quella organizzazioni del non profit impegnate nell’assistenza, nella promozione culturale, nella ricerca scientifica (circa 30mila).

In questa triste parola temporale e culturale, dall’intuizione e dalla promessa di una “rivoluzione fiscale” che restituisse centralità e sovranità alle persone e alle organizzazioni della società civile alla vecchissima logica statalista che concede qualche offensiva briciola di mancia ai cittadini e alle realtà sociali, c’è tutto il fallimento del Governo Berlusconi-Tremonti.  Più di tutte le Noemi, le D’Addario e le Ruby, più della smania di  di Fini di succedere a Berlusconi, o dell’accozzaglia di egoismi che ha sempre più caratterizzato il Pdl, la parabola del 5 per mille, dimenticato e poi affossato dal suo stesso ispiratore, dice di un fallimento politico, dice dello svuotamento di ogni ipotesi riformatrice.

Il 5 per mille, che davvero poteva e doveva essere il caposaldo sussidiario della più volte invocata riforma fiscale, si spegne quindi nelle spire della disponibilità di bilancio. Come sono lontani i tempi in cui Tremonti parlava della restituzione di valore e di risorse al Terzo settore come forma di investimento per lo Stato e non come voce di costo!

Gli atti di Governo dell’ultimo anno di una maggioranza che a più riprese ha riproposto lo slogan “Più società e meno Stato” e che, almeno a parole, aveva fatto della promozione del dono e del principio di gratuità nella sfera pubblica quale componente fondamentale delle politiche pubbliche di inclusione sociale, vanno tutti in senso contrario, opposto. Dall’ignavia con cui si è “non” gestita e comunicata la norma sulla deducibilità delle donazioni, al drammatico pesce di aprile con cui sono state aumentate le tariffe dell’editoria non profit  del 400% mettendo a repentaglio la capacità di raccolta delle donazioni e zittendone la voce, ai tagli al welfare e alla cooperazione internazionale, sino allo svuotamento del 5 per mille.

C’è una sola possibilità per questo Governo di dimostrare di non aver parlato a vanvera nel corso di questa legislatura: che presenti subito un emendamento per reintegrare la copertura di 400 milioni per il 2011.

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