Ieri, 10 maggio, prima della marcia “No slot” che ha portato centinaia di bambini e bambine per le strade di Pavia ho fatto un giro in una tabaccheria accanto alla stazione di Milano Rogoredo. Oramai in una tabaccheria trovi di tutto. Ovviamente, se guardi bene dietro la porta trovi anche le famigerate new slot (tecnicamente si chiamano così). Io ci ho trovato donne, soprattutto donne, intente a sperperare i pochi soldi rimasti. La retorica sulla donna “custode” della casa fa a pugni con la realtà. Anche quella di uno sfruttamento legalizzato chiamato “gioco”. Anche questa – quella della retorica e quella della realtà – è violenza. C’è la violenza dell’acido che brucia e c’è la violenza, non meno vile, dell’acido che dissolve. Che dissolve legami, affetti, relazioni, forme di vita. Il “gioco d’azzardo” è questa cosa qui, nient’altro che questa cosa qui. Poi? Poi ci sono i bambini. Per legge, si dirà, i bambini non possono giocare. Ma è proprio così? I bambini vanno pazzi per i gratta e vinci. Ho aspettato che una di quelle donne uscisse dalla tabaccheria.
Evidentemente era una mamma o una nonna. Ho aspettato che uscisse non perché aveva terminato il suo “gioco”, ma perché “disturbata” dalle richieste dei bambini che le stavano accanto. E che cosa fa questa donna? Compra dei Gratta & Vinci e assiste soddisfatta alla scena dei bambini che cercano di capire se diventeranno milionari (NB: per ovvi motivi pubblico qui una fotografia dove i ragazzini che “grattano” il loro biglietto appaiono solo di spalle). Il tutto, ovviamente, fuori dalla tabaccheria. Per il tabaccaio questo è normale. O meglio, per il tabaccaio è normale che ciò che accade a 20 centimetri dall’ingresso del suo locale non lo riguardi. “Ciò che succede fuori di qui sono fatti loro”, mi dice. “Io qui dentro non li faccio giocare di certo questi minori”. A rigore di legge, il suo ragionamento è inappuntabile. Me ne vado con la coda tra le gambe. Non so perché – o forse lo so fin troppo bene – anche questa “inappuntabilità” nella mia testa risuona come qualcosa che non stona affatto con ciò che, 20 centimetri più in là, avremmo chiamato violenza e avrebbe meritato le tanto famigerate e famose “quattro righe in cronaca”. Ma anche la violenza, si sa, per essere chiamata tale deve chinare la testa a altre ragioni e farsi spettacolo. Il resto, direbbe uno stranoto personaggio di Matrix, è il deserto del reale.
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