«ADHD is a fictitious disease», la sindrome da deficit di attenzione, la cosiddetta ADHD, è un disturbo “fittizio”. In altre parole, se non è un bluff, poco ci manca.
Parole che pesano, quelle di Leon Eisenberg. Negli anni Sessanta fu proprio lui il primo a dare scientificità a un disturbo che gli psichiatri cercavano di “catturare “da molti anni, senza riuscirvi.
Nel 1968, grazie alle ricerche di Eisenberg, l’Attention Deficit Hyperactivity Disorder (ADHD) venne incluso nella Bibbia degli psichiatri, quel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali oggi giunto alla sua V edizione.
Fu Eisenberg a convincere i colleghi e la comunità scientifica tutta della rilevanza patologica dei comportamenti da allora classificati come “da deficit attenzionale”. Con conseguenze, sulla somministrazione farmacologica, che hanno inciso profondamente sulla pratica medica e sulle finanze pubbliche e private.
Oggi tornano d’attualità le ultime parole di Eisenberg, scomparso nel settembre 2009. Riprese dai principali media di tutto il mondo, erano passate quasi inosservate quando Der Spiegel le aveva rese note nel febbraio del 2012.
Oggi è importante che le parole di Eisenberg – «ADHD is a fictitious disease»- riaprano un dibattito a tutto campo sui presupposti culturali di ogni diagnosi e sui risvolti sociali e le implicazioni etiche e culturali di ciò che, in molti casi, troppo sbrigativamente chiamiamo “malattia” ed è invece solo il sintomo di una volontà sbiadita di potenza che coincide con la volontà di medicalizzare il mondo.
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