Gambling #1. Rischio vs. azzardo morale

di Marco Dotti

Rischiare significa esporsi, ma esporsi non significa assumere deliberatamente su di sé qualsiasi rischio. Ci sono rischi che ragionevolmente non possiamo, né dobbiamo correre, non solo per moderazione o per logica: sono i rischi le cui negatività ricadrebberro unicamente sugli altri (familiari, amici, comunità), travolgendo con noi chi non ha chiesto, né scelto quel livello di esposizione. Ma ci sono anche rischi che di per sé  non esisterebbero, senza la nostra volontà di correrli e, quindi, di crearli. Questa volontà ha ben poco a che fare con una decisione libera e consapevole: è piuttosto figlia di una serie di errori di misura e di difetti di realtà. È la mentalità del giocatore d’azzardo, che persino nella sua immagine classica ci mostra una vittima consumata da un demone che essa stessa ha evocato. Come ogni possessione che si rispetti, anche in quella dell’azzardo il giocatore trova un sottile e ambivalente piacere. Qualcosa che già ai primi del Novecento gli analisti tedeschi chiamavano Angstlust, piacere (in tedesco Lust) misto a angoscia (Angst).

L’elementare struttura logica dell’azione determinata dall’azzardo – tante volte richiamata da chi rivendica la libertà propria o altrui di consegnarsi al “gamling” – è tutta qui,: un comportamento, un atto o un insieme di atti volti a esporre sé e gli altri a rischi inutili. Ma l’utile c’entra davvero poco con l’azzardo, anche se il giocatore lo invocherà di continuo. Fëdor Dostoevskij, giocatore incallito, confessava alla moglie di aver trovato un modo per vincere ala roulette. Un modo «molto stupido e molto semplice e che consiste in un continuo autocontrollo in ogni momento del gioco, quando non dobbiamo emozionarci mai». 

Il giocatore accumula contraddizioni su contraddizioni: si vuole freddo nel calcolo, ma non controlla la sua pulsione (un tempo si chiamava passione) al gioco. Attratto – a parole – dalla vincita, spera solo di non finire mai di giocare: oggi, non a caso, le neuroscienze ci insegnano che il nel cervello dei giocatori di slot machine il picco di dopamina non si registra quando vincono o perdono, ma nel momento in cui inseriscono la banconota o la moneta, e la macchina comincia a girare. 

Non c’è giocatore che, nel profondo, voglia qualcosa di diverso dal continuare a giocare. Anche a rischio di perdere sempre accumulando un debito infinitoPer questa ragione gli economisti hanno sempre tentato di distinguere tra il piano proprio e specifico del rischio e quello dell’azzardo. Quando non ci sono riusciti e anche in economia sulla mentalità del rischio ha prevalso la mentalità dell’azzardo i danni si sono fatti sentire. Quando prevale l‘eterno carnevale dell’azzardo, il mercato diventa più simile a una festa di folli che ostinatamente si accaniscono a colpi di numeri sulle loro prede, certi come il giocatore-Dostoevskii che nella  loro freddezza vi sia del metodo. Si chiama azzardo morale (moral hazard) e consiste in una forma di opportunismo, dettato anche dall’asimmetria informativa, di una parte nei confronti dell’altra

In fondo, nulla di diverso da quanto già scriveva Arthur Schopenauer. Secondo lui, l’azzardo consisterebbe in una lenta e prolungata bancarotta del pensiero. Contro questa bancarotta, bisognerebbe tornare a rischiare davvero. 

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