Formazione

No alla leva:a chi conviene?

Diciassette proposte di legge,dubbi sulla costituzionalità, sui costi, sull'utilità.

di Federico Cella

I nostri parlamentari ne sono convinti da anni: l?esercito italiano del futuro sarà costituito da professionisti. La conferma è arrivata dall?attuale ministro della Difesa, Carlo Scognamiglio, che si è detto intenzionato a presentare entro due settimane lo schema del disegno di legge per il passaggio dal servizio di Leva a un esercito di volontari. Uno schema, però, ancora avvolto nella nebbia di 17 diverse proposte presentate, e che lascia dunque molto spazio ai dubbi. Sull?abolizione della Leva obbligatoria. Sul destino del servizio civile. Sui contrasti con la Costituzione italiana. Sui costi del passaggio. E sull?utilità di un tale esercito per il nostro Paese. L?abolizione della Naia è il vessillo sbandierato dai politici di fronte all?opinione pubblica. Un?idea che non può che solleticare le fantasie dei giovani in odore di Leva e delle loro mamme. Ma anche dei contribuenti, cui viene presentato un conto ricco di tagli. Tuttavia queste due verità, da vicino, non appaiono tali: «Almeno per i primi 6-7 anni dal passaggio all?esercito professionale, la Naia non verrà certo abolita», spiega Massimo Paolicelli, portavoce nazionale dell?Associazione obiettori nonviolenti. «Una mossa che permetterà di ?aggirare? la Costituzione (articolo 52) che fissa come dovere di tutti i cittadini la difesa della patria. E poi la Leva continuerà a fungere da serbatoio per riempire i buchi che i militari non riescono a riempire con il reclutamento». Quali motivi, dunque, dovrebbero portare i giovani a voler diventare Rambo di professione? La risposta è fin troppo scontata. «Tanti soldi da investire da parte dello Stato», conferma Paolicelli. Uno stipendio almeno quadruplicato rispetto ai militari di Leva, ma non solo: una seria formazione professionale, non più camerate, ma alloggi adeguati a professionisti, armamenti e vestiario nemmeno lontanamente parenti di quelli che toccano alle ?spine? attuali. E la garanzia, anch?essa incostituzionale, del posto di lavoro: dopo i tre anni di fermo, ai ?veterani? toccherebbe d?ufficio un posto nella Pubblica amministrazione. «Se a questo conto aggiungiamo il taglio irrisorio alle unità militari, dalle attuali 270 mila – con ben 450 generali contro i 300 di tutto l?esercito Usa! – a 215 mila», prosegue Paolicelli, «si può capire come questa riforma non sia volta al risparmio sulle spese militari. Abbiamo calcolato che l?attivazione di un esercito professionista costerà allo stato non meno di 10 mila miliardi in dieci anni. Con i conseguenti tagli ai ?soliti noti?: sanità, assistenza e istruzione». Soldi che verranno a mancare allo stato sociale, quindi, il quale dovrà fare i conti anche con la mancanza del lavoro degli attuali 50 mila obiettori. «La preoccupazione è che questa idea ancora in divenire dell?esercito professionale porti i nostri amministratori a trascurare il servizio civile», conferma Roberto Minervino, segretario nazionale della Lega obiettori di coscienza. Una preoccupazione che diventa certezza nella campagna ?Leva la leva? promossa dal Partito radicale, inaspettato alleato del ministro, tesa all?abolizione di qualsiasi obbligatorietà. Anche quella del servizio civile. Prosegue Minervino: «Un servizio che, invece, è strumento utile sia per gli enti pubblici che del Terzo settore, sia come formazione per i ragazzi. E, invece, nei progetti del governo la protezione civile dello Stato è destinata a svanire, lasciando la difesa alla sola mano armata». Una considerazione che porta a un?ulteriore: a cosa può servire tutto questo esercito? «Alla ?necessità? di avere i mezzi per difendere in campo internazionale gli interessi nazionali», conclude Paolicelli. «Le famose missioni di ?peacekeeping? vengono definite come umanitarie, ma il mondo è pieno di situazioni di conflitto che necessiterebbero di un intervento. Tuttavia, come gli Stati Uniti intervengono solo quando sono in ballo i loro interessi economici, così l?Italia si erge a scudo dei diritti umani solo quando si tratta di Albania o Kosovo».


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