#Noslot. Emendamento porcata: troppe scuse e zero dimissioni

di Marco Dotti

Pubblico qui un articolo apparso oggi a pagina 2 del quotidiano Il manifesto.

«Per esserci c’ero, ma se c’ero mi sono distratto». Oppure: «ho votato ma non sapevo che cosa stavo votando». Ancora – e questa suona più grave, ma anche più affine al vero – «ho seguito le indicazioni del partito». Storie sentite decine, centinaia di volte in questi anni. Storie che credevamo di esserci lasciati alle spalle. Non è così. Ma qui non siamo nel “frame” politico-narrativo della favoletta sulla nipote di Mubarak. Qui stiamo parlando di altri interpreti – da Stefania Pezzopane a Felice Casson, da Sergio Zavoli a Vannino Chiti fino alla giornalista anticamorra Rosaria Capacchione e a Leana Pignatoli– e di un’altra storia, se possibile ancora più misera e squallida, che comporta un giro d’affari stimato per il 2013 in 120 miliardi di euro (9 dei quali finiscono all’Erario): il gioco d’azzardo.

Se è vero che la medesima storia è destinata perennemente a passare dalla tragedia alla farsa, è altrettanto vero che – in questi giorni veramente grigi per le istituzioni italiane – il passaggio è stato repentino, quasi casuale, talvolta imprevisto e ancora non abbiamo capito se la vicenda che ha visto coinvolti centoquaranta senatori del PD, impegnati formalmente in campagne contro l’azzardo e contro la camorra, ma pronti a contraddirsi appena c’è da pigiare il pulsante e votare, rientri nel quadro di una tragedia o in quello della farsa. O forse è semplicemente sia l’una che l’altra. Tragedia lo è sicuramente per milioni di italiani che si sono visti direttamente o indirettamente coinvolti in storie di azzardo e, di conseguenza, di malavita, sovraindebitamento, depressione e usura. Farsa lo è invece per chi su quella tragedia può permettersi di temporeggiare, speculare o passare il proprio tempo nel cercare alibi improbabili.


In attesa di nuove autoassoluzioni, potrebbe per ora ridursi alle tre varianti indicate – “ero distratto”, “non sapevo”, “ho seguito una direttiva” – la formula pronunciata con tono fra il disincantato, lo sprezzante e il comico dai centoquarantasenatori del PD che, dalla serata di giovedì, si sono trovati a dover impiegare ben più del tempo speso in precedenza per capire che cosa stavano votando, al fine di contenere la valanga di critiche e accuse arrivate da ogni dove. Tre varianti, si diceva, che sottintendono però un’unica presa di distanza non dal provvedimento in quanto tale, ma dalla responsabilità pubblica per averlo votato.

Come se quando perizia e attenzione sono richieste in massimo grado, ci si potesse dedicare a altro. Eppure, in aula il provvedimento era stato dibattuto ed era diventato oggetto di dure critiche da parte del M5S e persino da esponenti del centronistra. Se ne parlava sui giornali, tanto che a un certo punto l’emendamento sembrava essere stato ritirato. Come bambini presi con le dita nella marmellata, i senatori PD prima hanno votato “sì” poi si sono premurati di nascondere le dita. Ma questo solo dopo la durissima reazione del neosegretario Renzi che, intervistato da Vitae sollecitato da NoSlotin una intervista subito ripresa da tutti i quotidiani ha definito «una porcata» l’emendamento presentato nel decreto “salva Roma” da Federica Chiavaroli del Nuovo Centro Destra. Anche lei, abruzzese come la Pezzopane, gioca allo scaricabarile chiamando in causa i tecnici dei Monopoli di Stato. Intervistata dal Fatto Quotidiano dichiara che le iniziative No Slot «mettono in pericolo le entrate sulle quali poggiano le spese pubbliche. Abbiamo agito in base alle notizie contenute in una relazione del Monopolio».

A sua volta, il sottosegretario all’Economia Alberto Giorgetti, veronese, da sempre in prima fila quando si tratta di attivismo pro-giochi si è dichiarato contento:  «è una norma virtuosa per le casse dello Stato».

Insomma, c’è chi è contento e chi piange, chi dice “non sapevo” e chi forse sa ben più di quello che ora ammette di sapere. Ma cosa prevede di tanto grave questo provvedimento? Perché con tanta solerzia centoquaranta senatori del PD (solo 4 i “dissidenti”) si sono trovati a votarlo? Perché, infine, ha suscitato reazioni a non finire nell’opinione pubblica noslot, tra i sindaci, i presidenti di regione e gli ammistratori locali?

L’emendamento prevede una cosa tanto semplice, quanto perversa, costruita per rompere il lavoro delicatissimo e prezioso condotto quest’anno da cittadini, associazioni e istitutizioni per giungere alle Leggi Regionali No Slot di Lazio, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Abruzzo, Toscana, Puglia e alle altre che si stanno discutendo (in Calabria, Sardegna, Veneto, Molise). L’emendamento presentato dalla senatrice Chiavaroli (quindi non dal governo!) votato dal Pd è pensato proprio per colpire queste iniziative dal basso: in presenza di interventi regionali o comunali che regolamentino in forma restrittiva l’azzardo legale (come acutamento lo definisce la Legge regionale No Slot approvata all’unanimita in Lombardia nell’ottobre scorso) e qualora questi interventi determinino una minore entrare per l’Erario (per esempio concedendo aiuti o sgravi fiscali ai bar che vogliano dismettere le slot machine), la regione o l’ente si vedrà infatti ridurre gli «ordinari trasferimenti statali». Un ricatto in piena regola e un messaggio forte e chiaro lanciato dal Senato contro chi lotta e una mano tesa all’industria del gambling: più lotti o lotterai contro l’azzardo come amministratore locale, meno riceverai dallo Stato che, pur riconoscendo dal 2012 la “ludopatia” come malattia a tutti gli effetti, a causa del tuo impegno per contrastarla ci perde soldi. Quindi? Quindi meglio tenersi i malati e poi magari finanziare con altri solti i centri di recupero: questa la logica sottesa al provvedimento.

La votazione è stata un fulmine a ciel sereno, inaspettato anche da quei deputati dello stesso Pd che da mesi stanno lavorando per calendarizzare un voto importantissimo, quello dell’art.14 della Legge Delega, già approvato alla Camera nell’ottobre scorso e su cui è calato – ora capite perché – un misterioso silenzio.

Si vocifera che l’emendamento “salva slot” della senatrice Chiavaroli sia stato pensato – e pensato bene – proprio per disinnescare il possibile voto e i possibili effetti, qualora un arrivasse un voto positivo per l’art. 14. Chi l’ha pensato di certo non è uno sciocco e non vota senza sapere cosa sta votando. Sa benissimo quello che scrive e quello che propone e sa benissimo che si troverà dinanzi una masnada di incompetenti in buona o in mala fede poco importa. Purché si produca il danno.

L’art. 14 pare il vero obiettivo dell’emendamento votato nel decreto “Salva-Roma”. Articolo che, oltre al divieto assoluto per la pubblicità legata al gioco d’azzardo, prevede una estensione di poteri proprio ai sindaci e agli enti locali, oggi esclusi da ogni possibilità di arginare in forma diretta il fenomeno dirompente della proliferazione di slot machine e sale gioco sui loro territori. Sindaci e regioni, oggi, possono solo lavorare di sponda, con incentivi o disincentivi fiscali per esempio.

Chi ha steso l’emendamento proazzardo lo sa e non è uno sciocco, chi l’ha votato  per sua ammissione  “era distratto” o peggio. Fatto sta che la masnada di Bisca Italia ha inizialmente salutato con toni entusiastici il voto, quasi mettendo una firma sulla paternità dell’emendamento. Poi… poi, visto il clamore, suscitato dalla reazione popolare e – va detto – dalla capacità del Movimento 5 Stelle di capire ciò che i tecnici del PD non avevano saputo o voluto capire… i toni sono un po’ cambiati.

Il clamore dei media, l’uscita di Renzi e l’indignazione popolare che ha letteralmente mandato in tilt i profili twitter e facebook dei senatori del Pd hanno però scompigliato le carte sul tavolo e rischiano di trasformare questo emendamento in un boomerang per l’industria dell’azzardo e per il PD stesso. Resta ora da capire il “che fare”. Renzi ha assicurato che la norma pro-azzardo verrà cambiata. Noi dobbiamo vigilare affinché lo sia davvero, perché le lobbies non dormono e non hanno festività comandate. Solo il business le muove.

Un’accelerazione sul voto in Senato dell’art. 14 della legge delega appare al tempo stesso auspicabile per una prima, vera regolamentazione noslot, appare possibile oggi più che mai.

Servono controllo civico permanente e un’attenzione che, finora, erano mancate. Vietare la pubblicità dell’azzardo in ogni sua forma sarebbe un primo passo per rompere il legame perverso che lega politica, informazione e business dell’azzardo. Un passo finalmente alla nostra portata.

Le dimissioni da parte di chi ha votato un provvedimento aberrante che ha rischiato di compromettere il lavoro di tanti sarebbero un’ auspicabile scelta di stile ma, visto come vanno le cose, anche un obiettivo molto più arduo da ottenere.

da “il manifesto”, 21 dicembre 2013

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