L’orizzonte atomico

di Marco Dotti

La “città santa” (the Holy city), così chiamavano Las Vegas negli anni d’oro. Fino a poco tempo fa, prima che l’azzardo online e l’avvento delle slot machine di ultima generazione cambiassero tutto, il deus absconditus di questa “Mecca” artificiale, cresciuta nel cuore del deserto del Mojave, era senza dubbio l’intrattenimento totale, 24 h su 24. Occupare il giocatore/avventore con luci, suoni, colori. Fare che tutto accadesse senza che nessuno capisse che cosa gli stava accadendo.

Las Vegas è oggi una città perversamente santa, dove si celebra una messa digitale infinita.

Il sogno americano si spense nelle luci di Las Vegas. Ma, come intuì Hunter S. Thompson in Paura e disgusto a Las Vegas, qui finì anche il sogno della controcultura americana: città troppo psichedelica, non ammette altri sogni all’infuori dei suoi. Ogni resistenza e ogni conflitto e, di conseguenza, ogni superamento dello status quo si spengono nella palude di un gambling totalizzante, spettacolare e totale.

Resta così esemplare la frase di Samuel Johnson che Thompson pone in esergo al suo libro: “fare di se stesso una bestia, solleva dalla fatica di essere uomo”.


Las Vegas è stata l’immagine concreta di una macchina urbana capace di disumanizzare ogni esperienza. L’enterteinment e l’azzardo integrale sono state le leve attraverso cui ogni residuo di esperienza – ciò che ancora chiamavamo “gioco”- si è mutato in esperienza alienata, grazie alla sovrapotenza di un demone urbano capace di mettere a profitto anche la prossimità con la devastazione e la morte.

Un singolare esempio di questo intrattenimento, negli anni ’50 e ’60, prima che il governo rivelasse (parzialmente) la portata catastrofica del tutto, erano i test nucleari. I giocatori vi assistevano dalla terrazza degli hotel, sorseggiando cocktail che sul menù prendevano i nomi di “Atomico” o “Bomba”. La capacità di mettere a profitto ogni cosa, anche gli esperimenti nucleari che venivano portati a termine nel vicino deserto del Nevada è testimoniata da cartoline e brochures d’epoca e da quell’Atom Hotel che, dalle sue camere, garantiva una “vista straordinaria sull’esplosione”.

Se il “gioco” e l’intrattenimento diventano l’ultimo orizzonte, allora “giocare” non può che significare questo: voler ottenere qualcosa non praticando, ma rinunciando alla trasformazione delle cose e del mondo. L’espansione della dimensione ludica non porta gioia e consuma la festa in una pseudo-festa infinita.

Alla base del gioco c’è un desiderio, alla base di “questo” gioco c’è l’addomesticamento di un desiderio.

Las Vegas è stata il luogo in cui si è testata la possibilità di incanalare in forme non militari un’immensa forza vitale trasformandola in pura energia cinetica – passare da un evento all’altro, da una macchina all’altra, da un albergo all’altro. Un movimento senza fine per uomini che come ultimo orizzonte non avevano nemmeno la catastrofe e guardavano esplodere una bomba dalla terrazza di un hotel, sorseggiando Martini e trangugiando noccioline.

@oilforbook

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