Mi ha molto colpito il contenuto del 12° Rapporto sulla povertà della Fondazione Zancan e la forma della sua presentazione.Pertiamo da quest’ultima, come ha spiegato Monsignor Giuseppe Pasini, presidente della Fondazione Zancan: “Abbiamo voluto evitare la forma della Conferenza stampa che aveva come risultato di far parlare i giornali del tema povertà e dei suoi numeri, un giorno l’anno, per promuovere un seminario ristretto dedicato agli attori principali della lotta alla povertà e alla lettura di tale fenomeno sociale”. Infatti, eravamo una ventina, rappresentati gli sitituti di ricerca, Istat, Banca d’Italia, qualche rappresentante di organizzazioni di primo e secondo livello impegnate sul tema, qualche giornalista specializzato, personale di governo, sindacati. È questa è la prima significativa novità, una convocazione d’attori impegnati e interessati nella sfida di vincere la povertà, piuttosto che l’offerta di una notizia da bruciarsi in giornata.
Una novità conseguente alla novità dello stesso Rapporto che, dopo 12 anni, di misurazioni e letture attente, dice in sostanza: tutti gli sforzi e i tentativi fatti in questi anni sono risultati inutili, non perchè si spendesse meno ma per l’inefficacia delle azioni (qui alcuni numeri del Rapporto 2012). E allora che fare? La questione attorno cui tutto il lavoro dei ricercatori dello Zancan (coordinati e guidati da Tiziano Vecchiato) ruota è questa: se si vuole fare un passo avanti occorre immaginare un welfare basato non solo e non più sul consumo di risorse ma capace anche di rigenerarle. Soprattutto nella battaglia alla povertà, una battaglia che non si può fare se non in quadro ridefinito di diritti e doveri, e nel coinvolgimento attivo della persona povera anch’essa con obbligazioni verso la comunità che di lui si prende cura. Per chi è imnteressato consiglio vivamente la lettura del Rapporto edito da Il Mulino (cover qui riportata).
A me è parsa una vera rivoluzione copernicana, tanto più che la questione è posta da un Istituto serio come la Fondazione Zancan in base ai dati 2009 (quando ancora la crisi era all’inizio), e, confesso, mi ha fatto molto piacere per l’innovatività di una posizione, anzi di una proposizione, tanto più necessaria oggi quando i morsi della crisi si fanno più lacinanti e, come dicono le previsioni, il peggio verrà l’anno prossimo. Nella discussione che ne è seguita mi è parso che non tutti recepissero tale radicale cambiamento di propsettiva e di direzione, da parte mia mi sono permesso di dire le seguenti cose.
a) Il Cambiamento nella lettura delle politiche sulla povertà indicato dalla Fondazione Zancan a me pare che indichi la consapevolezza che cambiare non solo si può, ma si deve. Perchè tutto è cambiato e non si tornerà indietro. Una nuova pagina è da scrivere, consapevoli che persino sulla povertà si è sprecato e si sono consolidate posizioni di rendita. Dato insopportabile.
b) Il welfare fondato sulla fiscalità e sulla redistribuzione non c’è più perchè sono venuti meno i suoi stessi presupposti. Viviamo un tempo in cui la stessa fiscalità degli Stati è sub judice da organismi sovranazionali (Ue, Fmi, etc.) è la ricchezza che fiscalità intercettava o si è nascosta (evasione) o si è allontanata dal terreno (Finanziarizzazione e flussi globali), perciò ciò che rimane della fiscalità intercetta solo gli stessi che poi si vorrebbero aiutare, redditi da lavoro dipendente e pensioni. Dando vita a meccanismi generatori di ingiustizia.
c) Il mio invito alla Fondazione Zancan è stato perciò di proseguire nella direzione accennata e di approfondire i giudizi che pur bisogna dare. Si spende male, dice il RApporto, nelle allocazioni di spesa e nelle direzioni della spesa, così chi ha veramente bisogno rischia di non accedere ai benefici previsti mentre altri sommano i benefici. Impressionante la parte del RApporto che spiega come un cittadino di Milano abbia 65 possibilità di aiuto economico oggi, il 40% gestiti dal Comune, il 17% dalla Regione, il 43% dal livello nazionale, Inps. Ebbene questi tre lvelli non si parlano e l’uno non sa che fa l’altro, non esiste una banca dati comune. Pazzesco! Inoltre come non sottolineare che non si può aver fiducia in uno Stato che per il solo funzionamento della sua macchina burocratica spende più del 50% delle risorse dalla fiscalità. E noi che massacriamo le organizazioni non governative quando per le spese di gestione spendono più del 20%, soglia massima consentita!
d) Un welfare generativo, a mio parere, non si può davvero inaugurare se non si ridisegna il perimetro di ciò che è pubblico non più in base alla natura giuridica ma in base alla finalità perseguita. Solo così, accanto alle risorse che Stato ed enti pubblici spendono (male) nella battaglia alla povertà e per l’assistenza alle fascie deboli, circa 51 miliardi di euro, potranno emergere ed aggregarsi altre risorse, quelle che i privati cittadini spendono già oggi per le badanti e le cure (quasi altrettanto), quelle messe in campo da enti del Terzo settore (dalle Fondazioni alle ong), quelle già previste nei contratti di lavoro per finanziare il welfare aziendale. Risorse da censire e gestire con una nuova governance il nuovo sistema di protezione sociale.
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