Slot economy o la democrazia della rovina

di Marco Dotti



Non è mai la sigaretta, ma sempre l’ultima sigaretta. È quell’essere per un istante l’ultima e, l’istante dopo, la penultima a creare dipendenza Ve lo ricordate lo Zeno di Italo Svevo, intento a promettersi e ripromettersi di smettere, segnando date sul muro? Zeno è sempre sul punto di smettere, ma non smette mai.

Dipendere deriva dal latino dependere, composto a sua volta da de e pendére (penso, peso), da cui il participio passato pensum. Da qui vengono anche calcolare, pensare. In fondo, potremmo azzardare, ogni vera dipendenza è un processo di «pensiero», ovvero di dipendenza dalla dipendenza stessa.

Ma quella dipendenza viene attivata, veicolata, mediata da un oggetto. Una sigaretta, ad esempio. Anche quando l’oggetto sparisce – la sigaretta ridotta in cenere – la dipendenza resta.

Accade anche col denaro, tanto che alla fine del XIX venne coniato un termine “geldkomplex”, complesso del denaro, per indicare la malattia di quei giocatori/investitori/dilapidatori di patrimoni che dal denaro dipendevano, anche quando di denaro non ne avevano più.

Anche con le monete è così. Anche con le macchine. Qui, però, il rapporto si complica.  Si complica tanto più, quanto quelle macchine si presentano sotto spoglie “ingenue”, sorrette da affermazioni tipo “sono sicure”, “sono un prodotto come tutti gli altri”. Si complica tanto più, quanto più quelle monete non vengono percepite come un pericolo. La logica, allora, è del tipo: “si gioca 1 euro e al massimo se ne vincono 100” oppure “con un euro non ci si rovina”. Nelle slot machine installate in bar, tabaccherie e via discorrendo avviene proprio così.

Guardate questo episodio di “Ai confini della realtà”. Risale al 1959. Guardatelo con attenzione.

In Italia la giocata è di un euro a partita (la partita dura 4 secondi e non si svolge in un casinò, ma in un qualsiasi bar, tabaccheria o sala d’aspetto) e la vincita massima è di 100 euro. Tutto tranquillo? Tutto a posto? E invece il trucco sta proprio qui.

Nei grandi periodi di crisi – successe nel ’29, negli Stati Uniti – le giocate minime venivano abbassate a un penny, per permettere a tutti di giocare. C’è democrazia, nell’azzardo. Ma è una democrazia della rovina. Non si tratta, imponendo giocate basse e vincite altrettanto basse, di “tutelare il giocatore”. Tutt’altro. Si tratta di trascinare non giocatori al gioco e, potenzialmente, alla dipendenza. In fondo tutti hanno la possibilità di avere 1 euro in tasca, averne 50 è già più difficile. Vincere poco, poi, è solo un altro modo per stimolare il “vincitore” a rigiocarsi tutto. Ecco la “dipendenza dalla dipendenza”. Eccola sigaretta di Zeno!

Ecco perché le macchinette sono infernali, soprattutto quando il messaggio che le accompagna è questo: “è solo 1 euro, è solo l’ultimo euro”.  È sempre  “l’ultimo” euro.

Ma quando siamo a questo “sempre”  allora il processo è già andato oltre di noi, e il rapporto asimmetrico giocatore-macchina è diventato qualcosa di più. La macchina si rivela così ben più di una macchina. Si rivela – come abbiamo visto nell’episodio di “Ai confini della realtà”  – “un’entità” dotata di vita propria. Questa entità è incompatibile con ogni forma di libertà umana (altro che “proibizionismo/antiproibizionismo”, qui siamo al grado zero della scelta!)

Tutto questo non succede “Ai confini della realtà”, ma  in un’Italia che andata  ben oltre quei confini.

@oilforbook

 

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