Nel 2007, quando imperversava l’assessore-sceriffo Cioni a Firenze, con le ordinanze (copiate poi da molte amministrazioni di destra e di sinistra) avevo scritto un appello per la libertà di elemosina. Si tratta di un appello che da allora, mi tocca riproporre quasi a scadenza annuale, di fronte all’osceno tentivo di impedire il bene, le occasioni di bene, nascondendosi dietro il dito della lotta al degrado che lotta non è ed è piuttosto ritirata di fronte a ogni possibile responsabilità e volontà di soluzione dei problemi. Ora l’occasione mi è data dalla notizia che a Verona è stata vietata la distribuzione da parte delle associazioni solidali di cibi, bevande e coperte ai senzatetto anche in periodi primaverili ed estivi non connessi cioè all’emergenza freddo. Con un’ordinanza che rimarrà in vigore fino al 31 ottobre 2014 il sindaco di Verona Flavio Tosi martedì mattina ha vietato “ogni attività di distribuzione di alimenti e bevande nelle aree di piazza Viviani, piazza Indipendenza (compresa l’area dei giardini), cortile Mercato Vecchio, cortile del Tribunale e piazza dei Signori”. E per chiunque sgarri la multa sarà salatissima. Si va da una sanzione di 25 euro ad un massimo di 500.
Circa un mese fa, con i volontari del progetto Arca guidati da Mouhib, un gigante buono che parla tre lingue, ho voluto fare una serata da volontario. Per un salutare bagno nella realtà e per sentire il dolore della società dello scarto. A Milano nel quadrilatero della moda. Ora a Verona tutto questo sarebbe vietato.
Come tanti italiani, anch’io sono un cattivo cittadino, almeno la metà dei miei 20mila chilometri l’anno in auto, li percorro nel traffico cittadino e come a tutti, mi capita spesso di imbattermi nei lavavetri, per esempio. Le mie reazioni sono le più diverse: fastidio, compassione, apprezzamento per la soluzione improvvisa di un bisogno effettivo (il mio vetro è solitamente sporco). Ma c’è una cosa che i lavavetri mi regalano ogni giorno, l’opportunità di imbattermi fisicamente nel diverso da me, la possibilità di guardarlo in faccia e di decidere in pochi secondi se quella faccia diversa, spesso dura o bugiarda, altre volte sofferente, c’entra con me, se mi interpella e ha da dirmi qualcosa e se io ho da dire e da dare qualcosa a quella vita, a quella faccia estranea. E, nell’epoca del virtuale è questa una decisione e un gesto molto concreto che tocca solo a me. C’è uno spiraglio di salubrità in tutto questo. «In un Paese civile l’accattonaggio molesto dovrebbe essere perseguito», ha scritto tempo fa Gad Lerner, campione democratic. Ma che significa molesto e chi decide quando lo è? È molesto chiedere l’elemosina allungando la mano? Ma come, nell’epoca dei “più diritti per tutti” ora si vuol vuol vietare al povero di mendicare? Si vuol vietare a chi ha bisogno di chiedere aiuto? Ma che civiltà stiamo costruendo?
Lasciate all’uomo il diritto di mendicare e il diritto di donare. Lasciateci la possibilità di compassione, cioè di sentire che il bisogno dell’altro è sofferenza anche per me e che io, io personalmente, sono chiamato a sanarlo. Senza com-passione non ci sarà giustizia. L’elemosina (dal greco eleèo, cioè ho compassione), prima mossa della condivisione, il percepire che il destino dell’altro è parte del mio stesso destino, è al centro del Vangelo. Nelle Beatitudini si dice: «beati coloro che avranno compassione, perché la stessa compassione riceveranno». L’elemosina è il terzo pilastro dell’Islam e lo zakat è il debito verso Dio che il musulmano deve saldare per ciò che Egli gli ha dato. Il Deuteronomio (uno dei cinque libri della Torah) dice agli ebrei: «Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese». Chissà se l’astrazione cui accennavamo, la mancanza di pietà verso i deboli, la mancanza di fantasia nella carità, l’immunità che invochiamo contro ogni senso di comunità, abbia proprio a che fare con lo spirito irreligioso di questi tempi.
Scriveva Benedetto XVI: “Nella città vivono – o sopravvivono – persone invisibili, che ogni tanto balzano in prima pagina o sui teleschermi, e vengono sfruttate fino all’ultimo, finché la notizia e l’immagine attirano l’attenzione. È un meccanismo perverso, al quale purtroppo si stenta a resistere. La città prima nasconde e poi espone al pubblico. Senza pietà, o con una falsa pietà. C’è invece in ogni uomo il desiderio di essere accolto come persona e considerato una realtà sacra, perché ogni storia umana è una storia sacra, e richiede il più grande rispetto”.
Già, escrescenze urbane e indifferenza violenta verso gli altri, oppure accoglienza come spazio dialogico e libertà di costruzione.
Ora tutti a Verona a disobbedire.
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