I cinesi ormai sono dappertutto in Africa, con l’intento di colonizzare l’intero continente. Com’è noto, il governo di Pechino ha estremo bisogno di petrolio e materie prime, per questo motivo stringe accordi commerciali finanziando opere pubbliche d’ogni genere. Come era prevedibile, la concorrenza imposta dall’introduzione dei prodotti cinesi sta penalizzando fortemente i mercati di molti Stati africani. Si tratta di un vero e proprio processo di conquista territoriale determinato dagli ingenti interessi economici del cosiddetto Impero del Drago. In questo contesto, la tradizionale allergia dei cinesi all’agenda dei diritti umani acuisce a dismisura la corruzione delle classi dirigenti locali. Ma al di là di tutte queste considerazioni, forse già note ai lettori di questo blog, uno dei fenomeni più inquietanti è l’utilizzo della manodopera cinese in Africa. A differenza del colonialismo occidentale che ha sempre fatto largamente uso della manodopera locale, il regime di Pechino sta trasferendo centinaia di migliaia di propri connazionali in Africa (secondo alcune fonti sarebbero addirittura milioni). Si tratta di cinesi in stato di detenzione, deportati con lo scopo di realizzare ponti, strade, ferrovie ed altre infrastrutture. Alcuni di loro sono ammassati come bestie in veri e propri campi di concentramento, altri sopravvivono in condizioni pietose dentro gigantesche tendopoli. A parte i galeotti comuni, tra questi deportati figurano anche detenuti per reati d’opinione: politici, professori, avvocati, medici, economisti. Ogni fine settimana uno stuolo di ragazze autoctone sono costrette a prostituirsi con la risultante che alcune di loro abortiscono o danno alla luce delle creature“half cast” che vengono inesorabilmente condannate a vivere nella miseria.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.