Rispetto alle vicende somale, la diplomazia internazionale vuole uscire dal letargo? È di oggi la notizia che alcuni estremisti islamici hanno minacciato di lanciare il “jihad”, la guerra santa, in Kenya se il governo di tale Paese confermerà l’intenzione di addestrare 10mila soldati fedeli al Governo Federale di Transizione di Mogadisco, come di recente anticipato dal ministro degli esteri keniano Moses Wetangula. Insomma, quello che vorrei dire, è che non basta spedire delle navi da guerra sotto l’egida della Nato, nelle acque somale per combattere la pirateria. La disastrosa situazione della Somalia, linea di faglia tra Oriente e Occidente in territorio africano, sta contaminando l’intera regione… e il mondo tace! Nel frattempo le Corti islamiche somale in esilio in Eritrea hanno eletto un nuovo presidente, Omar Iman. Iniziativa che ha acuito le divisioni politiche all’interno del movimento islamico, che nel 2006 ha governato su gran parte della Somalia, prima di essere deposto dalle truppe etiopiche, intervenute al fianco del governo di transizione somalo riconosciuto dalla comunità internazionale. Una cosa è certa: l’accordo sul cessate il fuoco ratificato a Gibuti il 19 agosto scorso non è mai decollato e a Mogadiscio si spara tutti i giorni. E vero che alla fine del mese è prevista a Nairobi, in Kenya, una conferenza organizzata dall’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad, che riunisce sette Paesi dell’Africa orientale), per favorire la riconciliazione nazionale, ma la situazione è disperata in Somalia e la comunità internazionale sembra stare alla finestra a guardare…
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