Sono infinitamente grato alla redazione di Vita per l’appello “Non si può più stare a guardare” sulla drammatica situazione del Nord Kivu. Condivido il testo nella forma e nei contenuti dalla A alla Z. Vorrei però segnalare ai lettori di questo blog anche il caso dello Zimbabwe precitato ormai nello sfacelo più totale, mentre la comunità internazionale, anche in questo caso, sta alla finestra a guardare. Come per la crisi congolese, la disattenzione da parte dei mezzi d’informazione è sconcertante anche nei confronti dell’ex Rhodesia. Finora non hanno portato alcun risultato i negoziati tra il presidente Robert Mugabe e il leader dell’opposizione Morgan Tsvangirai, per tentare di salvare l’accordo per la condivisione del potere firmato il 15 settembre e da allora rimasto lettera morta, nonostante i numerosi sforzi di mediazione. Nel frattempo il Paese è in preda ad una grave crisi economica al punto che scuole e ospedali sono chiusi, migliaia di persone risultano essere affette dal colera, centinaia sono i decessi a causa della pandemia, e altri milioni rischiano di lasciarci la pelle per colpa dell’inedia. A denunciarlo è il vice coordinatore per gli aiuti di emergenza dell’Onu, Chatherine Braggs, che ha lanciato oggi un appello per far fronte a una crisi umanitaria che rischia di aggravarsi, senza un “consistente” intervento della comunità internazionale. La signora Braggs spera così di poter racimolare 550 milioni di dollari per un Paese dove sono almeno 4 milioni le persone che hanno bisogno di aiuti alimentari e “questo numero è destinato ad aumentare nella stagione delle piogge, di solito tra gennaio e aprile”. Cosa dire? Francamente di fronte al disastro che attanaglia lo Zimbabwe, vittima sacrificale dell’egoismo di molti – Mugabe in primis – mi viene istintivamente alla mente una considerazione che qualche anno fa mi confidò in un’intervista il grande storico burkinabé, Joseph Ki–Zerbo, in merito alla forza di sopportazione dei popoli africani: “La nostra gente è capace di portare pesanti fardelli perché sa che quasi tutta la realtà giace al di là della bruma invisibile del mistero. È per questo che la loro vita, senza soluzioni di continuità, è una ricerca condotta in uno stato di perenne prospettiva crepuscolare, di mezza luce, quando il sole, ormai basso all’orizzonte, traccia ombre lunghissime anche per i semplici fili d’erba”. È il mistero di una lotta per dare senso e significato ad un’esistenza, quella del popolo dello Zimbabwe, che chiede solo di vivere in pace.
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