L’Africa sta attraversando una stagione estremamente concitata, che ogni giorno si annuncia con novità le quali molto spesso, alla prova dei fatti, smentiscono quelle precedenti, vere o false che fossero. Ecco che allora in Madagascar il potere è passato (con modalità ancora poco chiare) dal legittimo presidente Marc Ravalomanana all’ex-sindaco di Antananarivo e capofila dell’opposizione Andry Rajoelina. Nel frattempo, nello Zimbabwe, il governo del premier Morgan Tsvangirai è alle prese con una crisi economica senza precedenti dopo i disastri perpetrati dal famelico presidente Robert Mugabe. Per non parlare del dramma darfuriano che sembra acuirsi dopo che la Corte Penale Internazionale dell’Aja ha spiccato un mandato di arresto nei confronti del presidente sudanese Omar Hassan el Beshir il quale continua a fare il bello e il cattivo tempo. Nel contempo forti tensioni vengono registrate sul versante somalo dove il nuovo presidente Sheikh Sharif Ahmed è in grave difficoltà essendo ritenuto dagli estremisti islamici un vassallo dell’Occidente. Malgrado avesse guidato le “Corti islamiche” che controllavano una grande parte del sud e del centro del Paese nel secondo semestre 2006 prima di essere sbaragliate dall’intervento dell’esercito etiopico, Sharif Ahmed sta incontrando forti resistenze nel realizzare l’agognato progetto di riconciliazione nazionale sostenuto dalle Nazioni Unite. Come se non bastasse, sul versante orientale della Repubblica Democratica del Congo, l’entrata degli ex ribelli del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp) nei quadri dell’esercito congolese desta preoccupazione tra la popolazione disseminata nella regione del Kivu. Si ha paura che la forte organizzazione militare del Cndp, condizioni pesantemente, fino ad arrivare al suo controllo totale dell’esercito regolare che, di fatto, è debolissimo. Come è già successo in altre parti dell’Africa, la vexata quaestio è rappresentata dall’accesso alle miniere, soprattutto di zinco, coltan, cassiterite diamanti e oro. Tutto ciò avviene dentro la grande pancia del vasto continente africano, in un tempo segnato da nuove forme di colonialismo. E mentre le grandi compagnie straniere estraggono dal sottosuolo africano ricchezze dirette ai paesi industrializzati, questi ultimi hanno ridotto drasticamente i fondi destinati allo sviluppo. Guardando al futuro, secondo gli osservatori, la partita geopolitica si sta giocando soprattutto tra le due grandi superpotenze, Usa e Cina, che si contendono, come già scritto in più circostanze su questo blog, il controllo delle risorse del sottosuolo africano, con speciale interesse alle fonti energetiche, petrolio in primis. A questo proposito, mi pare che l’unico ragionamento illuminato venga da Benedetto XVI il quale, in una lettera inviata al premier britannico Gordon Brown, ha scritto che il vertice del G20 (che si tiene a partire da domani a Londra) per affrontare la crisi finanziaria globale non deve dimenticare l’Africa. Il Papa, che nei giorni scorsi ha visitato il Camerun e l’Angola, ha rilevato che il Sud Africa sarà l’unica nazione del continente a essere presente al summit del Gruppo dei 20. “La situazione deve suscitare una profonda riflessione tra i partecipanti al summit – si legge nella missiva – dato che coloro la cui voce ha meno forza sulla scena politica sono precisamente quelli che soffrono di più degli effetti dannosi di una crisi di cui non portano la responsabilità”. Per Benedetto XVI è necessario rivolgersi al multilateralismo delle Nazioni Unite e delle organizzazioni collegate “al fine di sentire le voci di tutti i Paesi e di garantire che le misure e i passi fatti ai vertici G20 siano sostenuti da tutti”. Rilevando inoltre che la crisi economica minaccia la cancellazione o la drastica riduzione dei programmi di aiuto, specialmente per l’Africa, il Pontefice ha affermato che “soluzioni segnate da qualsiasi egoismo o protezionismo nazionale” vanno evitate per trovare una via d’uscita dalla crisi. Mi auguro davvero che queste parole non vengano eluse dai Grandi della Terra per scongiurare, come ho letto su un fondo di un giornale inglese, l’ennesimo “african turmoil”.
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