È Sabato Santo e tra poche ore inizierà la veglia pasquale. Anche l’Africa invoca la resurrezione, soprattutto considerando lo scenario geopolitico che caratterizza questo continente. Sovviene, quasi istintivamente, quello che scriveva il grande poeta senegalese Léopold Sédar Senghor, uno dei massimi intellettuali del ‘900 africano. “Noi neri – soleva ripetere – vogliamo essere non solo consumatori ma anche produttori di cultura perché questa é l’unica maniera possibile di essere”. Parole illuminate, oserei dire profetiche che, da un punto di vista evangelico, esprimono l’esigenza di affermare un processo d’inculturazione capace di trasformare le relazioni tra Nord e Sud del mondo. La sfida per un nuovo ordine mondiale rispettoso della dignità dei popoli, prim’ancora che essere politica, sociale o economica ha una forte valenza culturale. Da questo punto di vista i cristiani sono chiamati ad essere costruttori di una nuova umanità nella consapevolezza che tutti abbiamo qualcosa da imparare dall’altro. La veglia pasquale allora rappresenta l’impegno a passare con Cristo le acque del Mar Rosso, quelle della diffidenza, dell’egoismo e dell’orgoglio. È il rito della promessa rinnovata di operare insieme per la realizzazione di un destino comune. Come a suggellare la profezia letteraria dello scrittore senegalese Cheick Anta Diop che, a proposito dei rapporti tra Europa e Africa, mette sulla bocca di uno dei suoi personaggi queste parole: “Non abbiamo avuto lo stesso passato, voi e noi, ma avremo necessariamente lo stesso futuro”.
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