Mi trovo a Nairobi e vorrei condividere con i lettori di questo Blog alcune considerazioni sul referendum costituzionale che si sta svolgendo in queste ore in Kenya. Dal mio punto di vista, si tratta di un evento politico che non dovrebbe passare inosservato. Esso infatti costituisce, nel bene e nel male, un banco di prova per la democrazia di questo giovane Paese africano, con possibili ripercussioni anche a livello continentale. Non è la prima volta che si tenta di mettere mano in Kenya alla legge suprema dello Stato, ma questa volta pare proprio che la bozza della nuova costituzione, approvata dal Parlamento di Nairobi il primo aprile scorso, verrà confermata dal corpo elettorale. I sondaggi rivelano infatti che oltre il 55 per cento degli aventi diritto voterà per il sì, mentre solo il 25 per cento esprimerà parere negativo. Comunque, considerando le difficoltà dei sondaggisti nel rilevare l’orientamento popolare, in un Paese in cui le discriminazioni sociali sono evidentissime, tutte le previsioni vanno sempre prese col beneficio d’inventario. Anche perché vi sarebbe ancora una quota consistente di indecisi, molti dei quali, una volta nei seggi, potrebbero rivelarsi come l’ago della bilancia nella consultazione referendaria. A questo riguardo la Chiesa Cattolica, che fino ad alcuni mesi fa era in prima fila nel promuovere una revisione del dettato costituzionale, ha fatto drasticamente marcia indietro, contestando anzitutto la clausola che sposta l’inizio della vita dal concepimento alla nascita. Questa proposta viene vista dai cattolici (ma anche da altre confessioni cristiane e dai musulmani) come propedeutica alla legalizzazione dell’aborto. La seconda obiezione riguarda invece il riconoscimento delle corti civili islamiche, le cosiddette “Kadhi courts”, che sarebbe contrastante con il sistema giurisprudenziale di uno stato laico, “super partes” rispetto a tutte le religioni. Il problema di fondo, come ha rivelato l’arcivescovo di Nairobi, il cardinale John Njue, è di ordine metodologico nel senso che ridurre semplicisticamente il giudizio sulla legge suprema dello Stato a un “sì’” o ad un “no” e’ fuorviante e irrispettoso nei confronti dell’opinione pubblica. Secondo il porporato, “vi sono stati dei miglioramenti della bozza costituzionale, ma il buono è stato mischiato con alcuni paragrafi cattivi che incidono sulla vita morale e i diritti. Vi sono persone che pensano che solo una piccola percentuale della bozza costituzionale sia cattiva. Sfortunatamente non è così. Il male per quanto piccolo e’ come un lievito cattivo, e trasforma e corrompe tutta la massa dal di dentro”. E’ dunque chiaro che pretendere d’imporre un simile verdetto – perché di questo si tratta – su una materia così complessa e articolata, fatta di principi e norme fondanti per il futuro della nazione, è demagogico nell’esercizio di democrazia diretta qual’è appunto l’istituto referendario. Sarebbe infatti stato più logico affidare la redazione del testo costituzionale a una assemblea costituente (come a dire il vero in un primo momento s’era pensato di fare), nella quale fossero incluse non solo le forze politiche ma anche le espressioni più significative della società civile, ponendo le questioni controverse in forma di specifici quesiti al parere degli elettori, nell’ambito di un referendum più circostanziato. E invece tutto il dibattito s’è risolto dentro il recinto dell’arena parlamentare che ha approvato una bozza redatta da un’apposita commissione. Col risultato che la gente oggi dovrà votare senza essere messa in grado di porre dei legittimi “distinguo” su una materia costituzionale a dir poco faraonica. Ecco che allora questioni vitali, come quella della riforma fondiaria, i cui presupposti sono contenuti nella nuova bozza e godono il plauso di vasti settori della società civile e delle chiese cristiane, vengono offuscate da pronunciamenti morali ai quali non pochi credenti sono decisi a fare ostruzione in nome della propria fede e affezione al sacrosanto valore della vita. E mentre il presidente Mwai Kibaki e il primo ministro Raila Odinga si sono espressi favorevolmente nei confronti del nuovo testo (con l’appoggio del governo di Washington che avrebbe promesso aiuti finanziari in cambio dell’approvazione della nuova costituzione), a dire “no” alla bozza, oltre alle confessioni cristiane, sono stati personaggi alquanto controversi come l’ex presidente Daniel arap Moi e il ministro dell’Università William Ruto. Naturalmente per motivi diversi da quelli delle chiese cristiane. Ma il pasticcio e’ ormai fatto, indipendentemente dall’esito finale della consultazione. Il timore di rivolte popolari, come accadde nelle ultime elezioni generali del dicembre 2007, la dice lunga.
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