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Dalla Libia alla Costa d’Avorio, la diplomazia internazionale sta alla finestra a guardare
Seguendo per passione le vicende africane, ho sempre più l’impressione che la diplomazia internazionale sia incapace di far fronte alle grandi questioni che attanagliano il continente. E mentre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe oggi finalmente votare un progetto di risoluzione che prevede una “no-fly zone” sulla Libia, prosegue inesorabile l’avanzata delle forze militari di Muammar Gheddafi contro gli insorti. A riprova che il consesso delle nazioni, non solo ha perso tempo, ma è stato incapace di cogliere le istanze di rinnovamento che venivano da un vasto movimento di dissidenti. Tutta gente che chiedeva a squarciagola la fine della lunga dittatura di Gheddafi. Nel frattempo, anche se la stampa italiana non sembra essere molto interessata, in Costa d’Avorio è nuovamente scoppiata la guerra civile. Dalle informazioni che ho raccolto direttamente da Abidjan, risulta che il braccio di ferro tra il presidente uscente Laurent Gbagbo e quello internazionalmente riconosciuto come vincitore del ballottaggio del 28 novembre scorso, Alassane Ouattara, sta avendo delle conseguenze drammatiche per la popolazione ivoriana. In un rapporto pubblicato in questi giorni, Human Rights Watch ha denunciato che le forze di sicurezza e le milizie fedeli a Gbagbo hanno commesso atrocità su vasta scala, che potrebbero essere considerate come crimini di guerra. Al momento è difficile avere un quadro della situazione sul campo, anche perché si combatte in varie zone della vasta area metropolitana di Abidjan: dal quartiere di Abobo, alla zona orientale, quella del municipio di Yopougon, per non parlare degli scontri che si sono verificati a Duekoue, sul versante occidentale del Paese. L’unico bilancio certo riguarda purtroppo la popolazione civile: sono decine le persone uccise, ferite, stuprate; migliaia quelle che hanno abbandonato tutto e si dirigono verso il confine con la Liberia in cerca di salvezza. Occorre però grande prudenza nel valutare la situazione, evitando di dividere come al solito lo scenario tra “buoni” e “cattivi”. Infatti, da una lettura attenta dello scenario politico interno emergono responsabilità condivise, a cui andrebbero aggiunte non poche interferenze straniere. Basti pensare all’evidente appoggio offerto dal governo di Parigi a Ouattara, considerato paladino degli interessi francesi in Costa d’Avorio. Un’alleanza fortemente osteggiata da Gbagbo, col risultato che l’ex potenza coloniale ha contribuito notevolmente ad acuire la voragine che già separava i due contendenti ivoriani. Da rilevare che lo schema messo a punto dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite di costringere Gbagbo ad uscire di scena in forza del risultato elettorale, con la conseguente investitura di Ouattara, si è rivelato fallimentare. E finora a nulla è valso lo sforzo dell’Unione Africana (Ua) di orientare il processo politico verso una nuova consultazione oppure una divisione del potere come è avvenuto tre anni fa in Kenya. Non è un caso se il premier keniano Raila Odinga è stato scelto come mediatore ufficiale dell’Ua, a capo di una missione speciale affidata a cinque Capi di Stato africani. A questo punto, considerando gli effetti della crisi per l´ordine pubblico, la coesione sociale e la governabilità del Paese è necessario non perdere tempo anche perché l’impasse si è acuito per le divisioni interne sia all’Unione Africana – il governo angolano, ad esempio, starebbe foraggiando di armi e munizioni Gbagbo – che alle Nazioni Unite. Pechino infatti ha interessi commerciali importanti in Costa d’Avorio e vorrebbe mantenere una posizione quantomeno di neutralità per evitare ripercussioni sugli affari legati al petrolio e al cacao di cui è produttore il Paese africano. Serve dunque qualcuno che riesca a fermare le armi, riconducendo il confronto sul piano del dialogo. Riuscirà da sola la Ua a trovare una soluzione convincente per i due contendenti? Difficile rispondere, ma qualcuno, nelle cancellerie in giro per il mondo, dovrà pure dare una mano, assumendosi le proprie responsabilità! Di positivo, per ora c’è la disponibilità di Ouattara a formare un governo di unità nazionale con Gbagbo, riunendo le forze armate rivali e creando una commissione di “verità e riconciliazione” come in Sudafrica. Un indirizzo che, se fosse accolto, potrebbe costituire una buona base di partenza per ridare speranza alla gente. Prima che sia troppo tardi.
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