Mentre l’Occidente è tutto concentrato sulle vicende libiche – convinto com’è che le “bombe intelligenti” riusciranno a snidare Muhammar Gheddafi – i leader del Brics, il gruppo di Paesi composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, si oppongono all’uso della forza e sostengono la via diplomatica. Dal mio punto di vista, si tratta di una divergenza sintomatica della miopia politica delle “Vecchie democrazie”, sempre più in affanno nella competizione con le cosiddette potenze emergenti. La posta in gioco è alta perché si profilano nuovi scenari internazionali sui quali occorre riflettere e che interessano anche il continente africano. Ma andiamo per ordine nel nostro ragionamento. Gli Stati Uniti di Obama non navigano in buone acque, avendo accumulato negli anni un deficit stratosferico dell’11% del Prodotto interno lordo (Pil). Tradotto in soldoni, significa che il debito pubblico americano oggi è ai massimi livelli, attorno ai 13/14mila miliardi di dollari. L’Europa in compenso soffre a causa degli squilibri macro economici presenti al proprio interno, mentre l’instabilità dell’area euro è sempre più preoccupante, col risultato che le crisi finanziarie di alcuni Paesi membri, come Grecia e Portogallo, possano destabilizzare i mercati monetari e finanziari internazionali. Nel frattempo, la cosiddetta “Rivolta del pane” attraversa il mondo arabo e non è da escludere che, prima o poi, interessi anche altri Paesi in via di sviluppo. Un fenomeno senza precedenti, che mette profondamente in discussione il tradizionale “establishment” planetario, col risultato che le monete forti di un tempo – dollaro, euro, sterlina britannica e yen giapponese – non riflettono più la vera divisione del potere geoeconomico del pianeta. La sensazione è che gradualmente si stia affermando una sorta di “mondo capovolto” che vede salire alla ribalta internazionale il Brics di cui sopra, ovvero quelle economie che coinvolgono una quota consistente della popolazione mondiale; un immenso territorio, con abbondanti risorse naturali strategiche e, cosa più importante, caratterizzato da una forte crescita del Pil. Da rilevare che al vecchio Bric (Brasile, Russia, India e Cina) si è aggiunto il Sud Africa, un Paese di solo 50 milioni di abitanti che comunque esprime notevoli potenzialità per la funzione assunta, quella di trascinare l’intero continente africano, ricco di fonti energetiche e non solo, nella nuova alleanza emergente. Queste potenze hanno dichiarato di voler realizzare un “grande disegno per una prosperità condivisa”, all’insegna cioè del multipolarismo, che spaventa soprattutto gli Stati Uniti, ridimensionandone sia la leadership economico-finanziaria che le reali capacità di controllo delle cancellerie di mezzo mondo. Ma il segnale più forte che viene dal Brics è la grande attenzione all’eccessiva volatilità dei prezzi delle materie prime alimentari e dell’energia. Una politica possibile da perseguire a condizione che vi sia una lotta senza quartiere contro la “de-regulation” tanto cara alle passate amministrazioni americane, attraverso una graduale riforma del sistema finanziario per prevenire nuove derive dei mercati. L’unica grave ombra sul nuovo corso del Brics rimane la questione sociale, non foss’altro perché oltre alla crescita del Pil, è necessario aggiungere anche altri indicatori come la qualità della vita. Altrimenti non si uscirà mai dalla crisi. E i nuovi grandi ripeteranno errori già commessi nel passato.
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