In questi giorni si sono svolti due importanti appuntamenti elettorali in Africa. Il primo è stato quello delle elezioni generali nella Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) i cui risultati, resi noti venerdì scorso, hanno riconfermato la leadership del presidente uscente Joseph Kabila. Sta di fatto che il suo principale avversario, Etienne Tshisekedi, ha rifiutato il risultato, denunciando numerosi brogli e autoproclamandosi vincitore delle presidenziali. Domenica, invece, si sono svolte le elezioni legislative in Costa d’Avorio, le prime dopo l’avvento al potere del presidente Alassane Ouattara. In questo caso, al di là del risultato finale, la scarsa affluenza alle urne è sintomatica delle forti divisioni all’interno del Paese. Il trasferimento dell’ex presidente ivoriano Laurent Gbagbo alla Corte penale internazionale dell’Aja, dove sarà giudicato per crimini contro l’umanità, sta inevitabilmente acuendo il rancore dei suo sostenitori. Essi, infatti, considerano Gbagbo vittima di una congiura internazionale orchestrata dalla diplomazia francese con la complicità delle Nazioni Unite.
Se da una parte è vero che è sempre forviante e riduttivo dividere lo scenario tra “buoni” e “cattivi”, non v’è dubbio che l’agognato “rinascimento africano”, tanto caro all’ex presidente sudafricano Nelson Mandela, è un traguardo ancora molto lontano. In effetti, il dibattito politico all´interno dei singoli Stati è ancora fortemente condizionato dalle vecchie oligarchie avvezze a fare il bello e il cattivo tempo con cospicui aiuti stranieri. A questo proposito, vi sono tre grandi potenze che, con dinamiche diverse, stanno influenzando non solo l’ex Zaire e la Costa d´Avorio, ma anche la stragrande maggioranza dei Paesi del continente. Si tratta di Cina, Stati Uniti e Francia che pur di affermare la loro leadership in Africa stanno letteralmente colonizzando l’Africa comprando di tutto e di più. Il “land grabbing” (traducibile come “accaparramento della terra”) a cifre irrisorie è una delle strategie messe a punto da questi signori non escludendo i gruppi di potere locale, ma inglobandoli con laute parcelle. Per carità, non sono assolutamente soli nella corsa al controllo all´accaparramento delle cosiddette “commodities”, vale a dire le fonti energetiche e le materie prime alimentari, di cui è ricca l’Africa. Basti pensare alle politiche commerciali messe a punto dal Brasile in Paesi come l’Angola, il Ghana, il Togo, la Nigeria, e il Mozambico. Dal punto di vista economico, la media del Pil africano, alla fine del 2011, è stato del +3,7%, ma è caratterizzato da forti disparità sociali, con Paesi in cui l’1% della popolazione detiene la stragrande maggioranza della ricchezza nazionale come nel caso dell´ex Zaire. L’economia sudafricana è quella, tutto sommato, che sta meglio, nonostante la debolezza morale del presidente Jacob Zuma, rispetto almeno a quella dei suoi predecessori. A livello continentale, l’Unione Africana, dopo l’uccisione di Gheddafi, suo maggiore benefattore, fa sempre più fatica a sbarcare il lunario. Ma soprattutto appare come una sorta di conglomerato acefalo, letteralmente incapace di definire delle politiche unitarie che salvaguardino il continente. In questo contesto, l’Europa, come già scritto ripetutamente su questo Blog, continua a fare la “Bella Addormentata” quando potrebbe essere promotrice di nuovi assetti di cooperazione più equi e rispettosi. Una scommessa disattesa non solo a seguito della crisi internazionale dei mercati, ma per la poca convinzione da parte dei 27 Paesi dell’Unione Europa (molto divisi tra loro) di concepire per l’Africa una piattaforma di sviluppo incompatibile con la sopravvivenza dei regimi autocratici. Le vicende politiche del Congo e della Costa d’Avorio ne costituiscono la conferma eclatante.
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