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Mali: è davvero finita la Françafrique?

di Giulio Albanese

Mentre in Mali prosegue ad oltranza l’operazione militare francese contro le formazioni jihadiste presenti nell’Azawad, è utile rileggere una recente dichiarazione di François Hollande, formulata durante il suo primo viaggio in Senegal, il 12 ottobre scorso. Ebbene, il numero uno dell’Eliseo, parlando di “partenariato tra due Paesi fondato su relazioni di rispetto, chiarezza e solidarietà”, ha detto, chiaro e tondo, che “Il tempo della ‘Françafrique’ è finito. C’è la Francia e c’è l’Africa”. Una presa di posizione, la sua, che è stata interpretata dalla stampa francese come la fine di un modello di relazioni, tanto privilegiate quanto ambigue, che la République intratteneva con le sue ex colonie africane. In effetti, però, in coincidenza con la visita di Hollande, uno dei più importanti giornali senegalesi, Le quotidien, ha sì riconosciuto ad Hollande di avere detto le cose giuste, ma precisando che “l’importante è tradurle in azioni concrete. L’Africa non ha mai smesso di sentire dichiarazioni di buone intenzioni. Gli anni passano, il ritornello è sempre lo stesso. Ma nella pratica gli interessi geostrategici riprendono velocemente il sopravvento rispetto ai buoni propositi”. Dal mio punto di vista, è vero che la fine della Françafrique è senza dubbio una scelta politica sagace, di cui va dato merito al presidente Hollande. Ma attenzione! La dottrina di cui sopra era già in crisi da tempo, almeno sul piano concettuale, perché a Parigi si avvertiva il bisogno di un cambiamento che era già in parte dovuto a una riduzione dei margini d’azione economica della Francia e in parte all’affermarsi di una nuova generazione di dirigenti africani. Detto questo però, guardando all’odierna crisi maliana, per quanto l’intervento militare sia stato dettato dall’urgenza di arginare le formazioni jihadiste, esige più che mai trasparenza, non foss’altro perché i costi di questa missione (ci auguriamo tutti “non fallimentare”, come avvenuto in Somalia) rischiano di ricadere sul popolo maliano che, potrebbe vedersi costretto a svendere le proprie risorse minerarie dell’Azawad, come già avvenuto in altre circostanze. Sottoterra, nel nord del Mali, c’è oro (forse più che nel Ghana), petrolio e uranio (mai sfruttato). Ecco che allora, chissà, non sarebbe una cattiva idea, chiedere alla signora Catherine Ashton, Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione Europea, di offrire garanzie in tal senso. Per domani (giovedì), la signora Ashton ha convocato, a Bruxelles, un consiglio straordinario dei ministri degli Esteri dell’Unione. In quella sede, sarebbe auspicabile fugare ogni dubbio sulle reali intenzioni di Parigi. La protezione offerta al Mali dalla Francia, contro gli estremisti islamici, non può rappresentare, ancora una volta, il pretesto per procrastinare nel tempo il “neo colonialismo” di cui la Françafrique è stata un’espressione eloquente.

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