Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama ha scritto, ieri, toccanti parole nel libro dei visitatori del tetro carcere sudafricano dove, ai tempi dell’apartheid, vennero rinchiusi i dissidenti, tra cui Nelson Mandela. “Il mondo è grato agli eroi di Robben Island, che ci ricordano come le catene non possano contrastare la forza dello spirito umano”. Un sentimento di solidarietà che lo ha portato a fare quella che, egli stesso, ha definito “una grande promessa”, quella di “assicurare pace e prosperità all’Africa”. “Pace perché donne e bambini non vivano più nella paura. E l’America – ha detto il presidente statunitense – vi aiuterà”. Ma a cosa si riferisce? A un piano da 7 miliardi di dollari destinato, in cinque anni, a facilitare l’accesso all’energia elettrica nell’Africa subsahariana denominato “Power Africa”. Si tratta di un’iniziativa – si legge in un comunicato della Casa Bianca – che ha l’obiettivo di sfruttare “l’enorme potenziale energetico dell’Africa, che include nuove scoperte di vaste riserve di gas e petrolio, sul potenziale sviluppo delle energie pulite geotermiche, eoliche, idriche e solari”. I Paesi maggiormente coinvolti nel piano Usa sarebbero Etiopia, Ghana, Kenya, Liberia, Nigeria e Tanzania. Sul fatto, comunque, che gli americani abbiano superato il teorema clintoniano “Trade not Aid” sono davvero in pochi a crederci, considerando, ad esempio, la guerra commerciale che stanno combattendo contro i cinesi, soprattutto in Africa. D’altronde, secondo l’Aie, l’Agenzia internazionale per l’energia, l’Africa Subsahariana avrà bisogno di investimenti per oltre 300 miliardi di dollari per raggiungere entro il 2030 un accesso universale all’energia elettrica. Questo, in sostanza, significa che il cammino per lo sviluppo è ancora lungo. Le fonti energetiche africane, è bene rammentarlo, rappresentano un boccone prelibato sia per gli americani che per i cinesi. È per questo che certi annunci caritatevoli, come quello di Obama, vanno presi col beneficio d’inventario. Sta di fatto che le contestazioni e soprattutto le polemiche nei confronti del presidente Usa, da parte di molti giovani sudafricani, non sono mancate, quasi a stigmatizzare la differenza tra il numero uno della Casa Bianca, leader della prima potenza mondiale e Mandela, uomo di speranza, paladino nella lotta contro il segregazionismo razziale. E proprio Mandela continua a lottare, in bilico tra la vita e la morte, anche se non mancano le critiche di chi accusa soprattutto i medici e familiari di perpetrare un vero e proprio accanimento terapeutico nei suoi confronti. Ma una delle figlie di Mandela ha commentato ieri: “è lui che sta scegliendo di rimanere”. C’è da crederci?
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