Mondo

Obama guarda all’Africa, c’è da fidarsi?

di Giulio Albanese

Nel vertice di Washington tra Stati Uniti e Africa, a cui gli analisti internazionali stanno dando grande attenzione, il presidente Barack Obama ha annunciato questa sera l’impegno da parte degli imprenditori statunitensi a investire 14 miliardi di dollari in Africa, “alimentando una crescita che sosterrà la prosperità africana e il business degli Usa nei mercati emergenti”. Da rilevare che Obama non sembra essere preoccupato della presenza capillare dei cinesi in Africa, al punto da aver dichiarato, in una recentissima intervista all’Economist britannico: “più si è, meglio è” perché gli accordi Cina-Africa servono a sbloccare il gigante addormentato, a immetterlo nel mercato mondiale. Ma questa sembra essere una battuta che sortisce l’effetto di un fumogeno, in quanto negli Usa sono molti quelli che gli propongono/impongono un nuovo “containment” del capitalismo cinese. Bisogna però riconoscere che sullo sfondo della geopolitica-economica obamiana, forse, il valore aggiunto rispetto ai cinesi sta nella volontà (almeno sul piano formale) di aiutare i Paesi africani a superare la loro dimensione nazionale creando mercati regionali con standard comuni. “Nel 2012 l’Africa ha attirato più di 50 miliardi di dollari in flussi di capitali”, ha ricordato Obama nel suo intervento, sottolineando che per continuare questo trend, la regione “deve proseguire le riforme economiche” e stabilire “un clima d’investimento più ospitale e prevedibile”. Comunque, al di là della retorica di circostanza, bisogna riconoscere che questo vertice esprime il tentativo, da parte degli Usa, di avere un orientamento multilaterale con l’Africa, non foss’altro perché al summit prendono parte 50 leader africani e dunque l’approccio, per la prima volta nella storia delle relazioni tra Usa e continente africano, va al di là delle solite dinamiche bilaterali tra Casa Bianca e singoli governi. C’è inoltre da rilevare che Obama ha fatto ben poco, nel corso della sua presidenza, per contrastare la concorrenza cinese che, paradossalmente – è il caso di dirlo – ha applicato alla lettera il teorema clintoniano “trade not aid” (“commercio non aiuti”). Ma attenzione : per contenere la colonizzazione operata in Africa dal governo di Pechino – che ha una visione pragmatica e invasiva del business – gli Stati Uniti devono per forza giocare la partita sul duplice piano di una governance non solo “corporate” ma anche “solidale” nel promuovere quello che lo stesso Obama ha definito “il benessere del continente africano”. Il problema di fondo è che nell’agenda di questo presidente Usa, di origini afro, non sono affatto chiariti i fondamentali della sua politica nella lotta contro la povertà. Non basta parlare d’investimenti quando questi servono, ad esempio, ad acuire il fenomeno del land-grabbing (l’accaparramento, cioè, delle terre da parte delle multinazionali straniere). Se le privatizzazioni in Africa seguiteranno di questo passo, escludendo il coinvolgimento diretto delle popolazioni locali dai benefici della crescita del Pil, il continente africano continuerà ad essere una terra di conquista. Per questo motivo quello che Obama sta dicendo in questi giorni sull’Africa va preso, davvero, col beneficio d’inventario.

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