Davvero una bella notizia: Fabrizio Pulvirenti è stato dimesso ieri dall’ospedale Spallanzani di Roma. Com’è noto, il medico di Emergency era stato contagiato dal famigerato virus ebola in Sierra Leone. Dopo settimane di terapia intensiva, il volontario ha potuto così finalmente riabbracciare i propri cari. Il suo sangue sarà inviato in Africa per creare plasma in grado di guarire malati. Pulvirenti, come ha sottolineato il presidente Napolitano nel suo messaggio di fine anno, rap¬presenta un’eccellenza del nostro Paese nell’ambito della solidarietà internazionale. E lo ha ribadito ieri annunciando che tornerà presto in Sierra Leone a portare il suo aiuto. Sarebbe quindi auspicabile che tutti provassimo – istituzioni e singoli cittadini – a riflettere sull’esperienza di questo nostro ge-neroso connazionale. Dovremmo evitare, infatti, che la sua vicenda rimanesse confina¬ta negli annali di un meritorio premio della bontà o di qualche onorificenza, come quella che il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha deciso di attribuirgli. In effetti, se il medico di Emergency ce l’ha fatta è stato grazie all’utilizzo di costosissimi farmaci, molti dei quali oggi ancora in fase speri¬mentale, a cui purtroppo non hanno ancora accesso coloro che in Africa avrebbero bisogno di essere sottoposti a simili terapie. Tutto ciò ci induce a pensare che se le periferie del mondo, usando il lessico di Papa Francesco, dove colpiscono duramente queste epidemie, disponessero di investi¬menti nell’ambito della salute, sia dal pun-to di vista infrastrutturale sia a livello di co¬noscenze mediche e cure farmacologiche, probabilmente non dovremmo piangere così tanti morti, spesso nell’indifferenza diffusa. Attualmente, stando all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), i decessi sono stati 7.905 e il numero dei casi accertati è superiore ai ventimila, con il rischio di un’ulte¬riore diffusione del virus. Ecco che allora l’affermazione del diritto alla salute diven¬ta una priorità nell’agenda della cooperazione tra Nord e Sud del mondo, conside-rando con quanto ritardo la comunità internazionale si è mobilitata al momento dell’esplosione di questa orribile e disastrosa peste del Terzo millennio. Una cosa è certa: agire con tempestività ed efficacia contro ebola non riguarda solo la tutela della salute di chi vive alle nostre latitudini – quasi che la vita umana non a¬vesse ovunque lo stesso valore –, ma è un imperativo che accomuna tutta l’umanità.
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