Mondo

Una Storia tutta da conoscere…

di Giulio Albanese

Domani si apre un Convegno molto interessante sul continente africano. Si tratta di un’iniziativa promossa dai missionari comboniani alla quale prenderò parte come moderatore della prima tavola rotonda, in programma sabato mattina. Coloro che fossero interessati posso cliccare su: http://www.africaincammino.it

Detto questo, vorrei condividere con gli amici di questo Blog alcune considerazioni generali su questo grande continente, anni luce distante dal nostro immaginario. D’altronde, certi pregiudizi sulle Afriche – è meglio usare il plurale parlando di un continente grande tre volte l’Europa – retaggio dell’epoca coloniale, sono duri a morire e condizionano non poco l’immaginario collettivo a livello planetario. Sta di fatto che l’Africa, al singolare o al plurale che dir si voglia, viene sempre e comunque percepita, soprattutto nei Paesi Occidentali, come una terra di conquista fatta di savane, deserti e foreste pluviali i cui popoli, per misteriose ragioni ancestrali, sarebbero istintivamente avversi alla mente razionale e al pensiero scientifico. Ecco che allora nella gerarchia dei saperi, l’Africa viene ancora oggi redarguita per le sue barbarie quasi fosse irriducibilmente bocciata dalla Storia delle grandi civilizzazioni. Eppure, come ricorda sensatamente il grande storico Basil Davidson, queste idee costituiscono un serio pregiudizio che non giova alla causa del bene condiviso, ma semmai acuiscono il fraintendimento per cui si ha la presunzione di elaborare una conoscenza dell’altro che pregiudica l’incontro. A questo proposito sovviene un curioso aneddoto raccontato dallo stesso Davidson riguardante un etnografo tedesco e viaggiatore di nome Leo Frobenius. Questo distinto signore nel 1910 si trovava in Nigeria ed ebbe la fortuna di scoprire delle statuette di terracotta di rara bellezza e fattura. Frobenius non volle ammettere che quelle sculture fossero opera di artigiani dell’etnia youruba e s’inventò di sana pianta una teoria secondo cui i greci avrebbero colonizzato prima di Cristo le coste dell’Africa Occidentale, lasciando ai posteri quei volti umani che le popolazioni autoctone non avrebbero mai potuto concepire.

Si tratta dunque di andare decisamente al di là di certa mentalità coloniale quasi l’uomo bianco avesse bisogno d’inventare l’Africa con le sue affermazioni narcisistiche fondate sulla presunta superiorità. È opinione diffusa che prima dell’arrivo dei colonizzatori europei, il continente fosse una sconfinata distesa di terre popolate da miriadi di gruppi etnici litigiosi e incapaci di adottare le più elementari forme di organizzazione politica. Si tratta di un falso storico. Ci si dimentica che in Africa, a differenza di quanto avvenne nelle Americhe, la potenza degli Stati autoctoni fu tale da scoraggiare sino all’epoca della rivoluzione industriale, all’incirca il XIX secolo, qualsiasi conquista su scala continentale. Contrariamente a quanto si pensa, gli insediamenti portoghesi lungo le coste africane non furono che un primo tentativo di penetrazione; la colonizzazione vera e propria si avrà solo nell’Ottocento, grazie anche alle spedizioni di innumerevoli esploratori e missionari europei. A ciò si aggiunga che i sovrani africani dai quali i negrieri acquistarono la merce umana, a partire dalla fine del Quattrocento, governavano imperi più vasti di qualsiasi moderna nazione europea. Sta di fatto che, ahimè, la storia africana precoloniale non è mai entrata nei testi scolastici occidentali. Per esempio, chi ha mai studiato a scuola le vicende del grande Regno del Ghana (od Ougadou), abitato dal popolo soninke, che raggiunse il massimo dell’espansione nell’XI secolo? Si trattava di uno stato ricco e fiorente che si estendeva a nord del fiume Niger e comprendeva buona parte della Mauritania sudorientale e del settore occidentale del Mali. O chi ha sentito parlare di Sundjata Keita, mitico eroe del popolo malinke? Eppure, attorno alla metà del XIII secolo fondò il Regno del Mali che copriva un’area geografica vastissima, dalle coste atlantiche del Senegal e della Sierra Leone alla città di Gao, sulle rive della grande ansa del fiume Niger. Così a molti è sconosciuta la storia dell’impero Songhai, un popolo che viveva lungo le sponde del medio Niger. Alla fine del XV secolo esso divenne il più grande stato dell’Africa precoloniale. Secondo gli storici era diviso in province rette da governatori di nomina imperiale, alle cui dipendenze vi erano pubblici funzionari incaricati della pianificazione economica del territorio, della gestione delle entrate e della giustizia. La sicurezza delle vie commerciali era affidata a due forze armate, esercito e marina, composte prevalentemente da regolari. Più tardi, alla fine del Seicento, si impose il potente stato degli Ashanti sotto la guida carismatica di Osei Tutu: questo regno estese il suo controllo lungo tutte le coste degli odierni stati del Ghana e della Costa d’Avorio. Quello degli Ashanti fu certamente il più potente degli stati che si svilupparono tra la fine del Quattrocento e l’Ottocento sulla dorsale atlantica, dalla foce del Senegal sino ai confini occidentali del Camerun. Questi governi autoctoni si consolidarono fortemente con l’intensificarsi degli scambi commerciali con l’Europa; naturalmente gli schiavi erano la merce più pregiata. L’ultimo dei grandi regni della costa fu quello del Benin, che raggiunse il periodo di massimo splendore a cavallo tra il XV e il XVII secolo. Retto da integerrimi sovrani (Oba), questo stato, a forte impronta legalista, sorgeva a ridosso del vasto delta del Niger e si estendeva su un’area di densa foresta tropicale di circa 300mila chilometri quadrati. Tra l’eredita che ha lasciato al mondo vi sono preziosissime opere d’arte.

Ho ritenuto opportuno proporre questo breve e approssimativo excursus storico per suggerire alcune riflessioni. Anzitutto va riconosciuta la dignità degli antichi stati africani, espressione di un potere politico e culturale ben più vasto e articolato di quanto superficialmente si possa immaginare. A esercitare il governo erano classi egemoni, a volte dinastie, che aveva ai loro ordini un apparato militare e uno burocratico capace di riscuotere e amministrare le imposte dei sudditi. È vero che l’organizzazione politica dei regni non si estese in modo uniforme su tutto il continente, vista anche la moltitudine di ‘Stati senza Stato’, cioè piccoli gruppi etnici di agricoltori senza norme statuarie. Ma è anche vero che si consolidò gradualmente un rapporto tra Africa ed Europa dovuto ai crescenti scambi commerciali. Merce di scambio privilegiata era il prezioso ‘legno d’ebano’, così venivano chiamati in codice gli schiavi, unitamente alle armi da fuoco che giocarono un ruolo di primo piano, come oggi d’altronde, per la conquista e il controllo del potere. Prima dell’epopea coloniale ottocentesca, sui 30.258.010 chilometri quadrati del continente africano non regnava l’anarchia; nel bene e nel male vi furono forme di governo, anche dispotiche, su tutto il territorio. È vero che le classi dirigenti locali legittimarono di fatto lo schiavismo, sacrificarono la propria gente e per trarne profitti iniqui. Lo schiavismo fu una vergogna per tutti: per i mercanti europei, i negrieri, che comprarono senza scrupoli la merce umana e per i capi africani che barattarono milioni di giovani con rhum, acquavite, polvere da sparo e fucili. Ma queste elite pagarono esse stesse un prezzo altissimo poiché furono schiacciate a una a una dalle potenze coloniali: l’ultimo sovrano degli Ashanti si arrese nel 1896 a un corpo di spedizione venuto dal mare per fare del suo regno una colonia della Corona britannica.

Una cosa è certa: la storia dell’Africa Subsahariana, ancora oggi, per molti, è davvero tutta da scoprire.

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