Politica

Morti programmate?

di Franco Bomprezzi

Negli Stati Uniti si sta materializzando una tendenza che io, quasi scherzando, avevo espresso nella mia rubrica sul magazine Vita. Dicevo più o meno: attenzione, ogni volta che in Italia muore una persona colpita dal virus dell’influenza A, i medici si affrettano a minimizzare, sostenendo che si tratta di persone malatissime, che in fondo erano già a rischio e dunque hanno subito solo una “complicazione”. Come dire, non preoccupatevi voi che siete sani. La mia paura è che si faccia strada, involontariamente o incoscientemente, una tendenza a considerare meno importante la vita di chi è fortemente menomato, o per gravi malattie come il diabete o l’insufficienza respiratoria, o per l’età avanzata. Ovviamente in Italia nessuna regola prevede esplicitamente questo, e sono sicuro che le priorità nella distribuzione del vaccino daranno più sicurezza proprio a queste categorie di pazienti a rischio.

Ma ora leggo che in molti Stati degli Usa, il piano di emergenza decretato prevede anche che cosa potrebbe rendersi necessario nel momento in cui dovessero scarseggiare le cure. Ossia chi si troverà all’improvviso senza cure per scongiurare gli effetti dell’epidemia. Ne ha scritto con giusta preoccupazione il corrispondente dagli Usa per Repubblica Federico Rampini, mentre quasi tutti gli altri giornali italiani si sono limitati a riportare la notizia della dichiarazione dello stato di emergenza.

Riporto i passi principali del suo articolo: “In molti Stati le autorità sanitarie si stanno preparando all’eventualità più tragica: il razionamento forzoso delle cure. In vista di uno scenario estremo, simile all’epidemia dell’influenza spagnola nel 1918, bisogna avere pronti i criteri e le regole per una selezione crudele, la decisione su chi va salvato e chi sarà abbandonato al suo destino. Perché se il contagio oltrepassa una certa soglia, le strutture sanitarie esploderanno e i reparti di rianimazione dovranno per forza fare delle scelte. Le linee-guida per questa terribile discriminazione ora vengono alla luce. Quattro categorie di pazienti saranno le prime a essere sacrificate: i “Do Not Resuscitate”, come vengono chiamati coloro che hanno dato disposizione nel testamento biologico di volersi sottrarre a ogni accanimento terapeutico; gli anziani; i pazienti in dialisi; infine quelli con severe patologie neurologiche. In questi casi – se l’epidemia supera una soglia di guardia – le autorità sanitarie potranno “negare il ricovero nelle strutture ospedaliere, o negare l’uso dei respiratori artificiali”, secondo quanto rivela il New York Times. Lo Stato dello Utah inoltre ha stabilito una tabella di marcia precisa: questo tipo di razionamento e di rifiuto delle cure partirà anzitutto dagli ospizi per anziani non-autosufficienti, dai penitenziari e dagli istituti per disabili, fino a estendere gli stessi criteri selettivi alla totalità della popolazione. È una terrificante logica darwiniana, di selezione dei più forti, o dei più adatti a sopravvivere. Ma è inevitabile, sostengono i responsabili delle task-force anti-influenza, perché in uno “scenario 1918″ sarebbe ipocrita fare finta di poter curare tutti”.

Non è la prima volta che mi sorprendo a scoprire che una personale ipersensibilità di fronte ad alcuni temi delicati precede di poco una realtà ancora più agghiacciante. Spero solo che tutto questo sia uno scenario di burocrati impazziti, spero che Obama intervenga da Washington contro questo federalismo Usa (sic!) così allarmante. Spero soprattutto che in Italia, magari senza proclami e regolamenti, non si segua il modello di efficienza degli Stati Uniti d’America.


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