“La tempesta mediatica mi ha lasciato turbata e in un certo senso ferita”: così scrive in una lettera al direttore di Repubblica la caposervizio del treno Eurostar del 27 dicembre scorso, ossia la persona descritta dallo scrittore Shulim Vogelmann nella ormai nota lettera pubblicata da Repubblica, in questo modo: “la ragazza diventa più dura e si rivolge al ragazzo con un tono sprezzante, come se si trattasse di un criminale; negli occhi ha uno sguardo accusatorio che sbatte in faccia a quel povero disgraziato. Per difendersi il giovane cerca di scrivere qualcosa per comunicare ciò che non riesce a dire; con la bocca prende la penna dal taschino e cerca di scrivere sul tavolino qualcosa. La ragazza gli prende la penna e lo rimprovera severamente dicendogli che non si scrive sui tavolini del treno. Nel vagone è calato un silenzio gelato. Vorrei intervenire, eppure sono bloccato. La ragazza decide di risolvere la questione in altro modo e in ossequio alla procedura appresa al corso per controllori provetti si dirige a passi decisi in cerca del capotreno”.
Torno sulla vicenda, già commentata su questo blog nel mio post precedente “Disabili in viaggio”, proprio perché le altre testimonianze dei viaggiatori, e adesso questa lettera della dipendente delle Ferrovie, confermano i miei dubbi circa lo stile, il linguaggio, il tono di un racconto che ha suscitato grande emozione, solidarietà popolare nei confronti della persona disabile che non aveva fatto il biglietto prima di salire in treno.
Leggo ancora le riflessioni della ragazza: “La prego di credermi, non è stato facile trovare un equilibrio tra il dovere che il lavoro m’imponeva e la delicatezza che richiedeva l’evidente condizione di difficoltà in cui versava il viaggiatore diversamente abile”. In sostanza il controllore dice: io dovevo applicare una regola, ossia far pagare il biglietto a un viaggiatore che ne era sprovvisto, per equità nei confronti degli altri passeggeri. Se non lo avessi fatto sarei venuta meno al mio dovere. Nello stesso tempo mi sono trovata ad affrontare una situazione complessa, che ho risolto con umanità, scendendo io dal treno a Foggia, e facendo il biglietto al passeggero, con i suoi soldi, senza applicare il sovrapprezzo previsto. Dunque una soluzione di buon senso, venuta sicuramente al termine di un difficile e forse scortese dialogo. Infatti la giovane dipendente scrive: “In quel momento dovevo applicare una regola non per me o per ottenere qualcosa di cui io avrei potuto beneficiare, ma per rispetto agli altri viaggiatori e alla dignità del viaggiatore disabile”.
E qui sta il punto più rilevante: la dignità del viaggiatore disabile passa attraverso il rispetto dei diritti di tutti. Le persone disabili non devono farsi temere dal personale dei servizi pubblici, come se si trattasse di privilegiati, o di una casta intoccabile, pena la pubblica esecrazione. Occorre arrivare a una sana coscienza collettiva, che parta dai principi della Convenzione Onu, a cominciare dal principio di non discriminazione, che significa in concreto mettere tutti sul piano di parità e in condizione di vivere in piena autonomia le proprie scelte personali, comprese le scelte di viaggio.
Il racconto di Vogelmann contiene un errore molto grave, che ha condizionato tutto il dibattito sull’episodio, ossia l’affermazione che il ragazzo disabile era stato “fatto scendere” dal treno. Fatto che non si è verificato. Strano per un testimone oculare ricco di particolari e di “colore”. Ma tanto è bastato a molti per riconoscersi in analoghe situazioni, viste o vissute sui treni italiani. Il ragionamento collettivo è stato quello del “vero in quanto verosimile”, che è uno dei meccanismi che stanno portando nel nostro Paese alle maggiori difficoltà di ragionamento pacato e serio sui temi sociali che emergono dai fatti di cronaca.
Dai commenti, dalle riflessioni più pacate e argomentate, emerge invece con forza che la questione non è il comportamento di un singolo dipendente delle Ferrovie, quanto la scarsa informazione, le regole complicate e comunque non rispettose delle differenze fra situazioni diverse di disabilità (una persona senza braccia non può obiettivamente provvedere in modo autonomo all’acquisto di un biglietto, e non è prevista nessuna vera agevolazione per tutti coloro che non sono invalidi al cento per cento). Di più: il meccanismo della prenotazione dell’assistenza non funziona se non in poche grandi stazioni, viaggiare in treno è quasi impossibile al di fuori di queste tratte privilegiate. E la situazione, lungi dal migliorare, sta peggiorando.
Ma questi argomenti non fanno presa sul grande pubblico, che preferisce emozionarsi e indignarsi di fronte a una storia raccontata bene, perfino troppo bene.
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