Politica

Falsi invalidi? Falso problema

di Franco Bomprezzi

L’Inps sciorina cifre di ogni genere, da un lato per dichiarare che i propri conti sono in attivo, e che non c’è bisogno di nuove riforme della previdenza, dall’altro per segnalare la crescita della spesa per le pensioni di invalidità, anche per l’aumentare dei soggetti che usufruiscono di questo straordinario emolumento (potete consultare la tabella pubblicata nel sito handylex.org). In particolare l’Inps dichiara che è cresciuta nell’ultimo anno la platea dei beneficiari, addirittura del 4,6 per cento, per un totale di 2,6 milioni di invalidi. Un trend destinato, secondo le stime del presidente dell’istituto di previdenza Antonio Mastrapasqua, a confermarsi nel 2010 fino a raggiungere i tre milioni di cittadini invalidi (su 60 milioni di abitanti, la percentuale sarebbe comunque del 5 per cento, esattamente quella stimata dall’Oms, l’organizzazione mondiale della sanità).

Naturalmente in conferenza stampa il presidente dell’Inps ha parlato anche dei falsi invalidi: su cento controlli effettuati, quindici pensioni da revocare. Insomma un bel gruzzolo recuperabile per le casse peraltro non povere dell’Inps. Mastrapasqua ha anche parlato di maggiore efficienza nelle procedure di certificazione dell’invalidità, di trasparenza, di attenzione a chi realmente ha diritto e bisogno. Tutto bello, tutto giusto.

Ma ancora una volta i titoli dei quotidiani e di conseguenza i commenti dei lettori, si concentrano quasi esclusivamente sullo scandalo dei falsi invalidi, una sorta di caccia all’untore mediatica, appena mascherata di solidarietà nei confronti degli invalidi “veri”.

Personalmente non ce la faccio quasi più a sentire questi discorsi, a dir poco irritanti. Lo Stato non è capace di snidare davvero tutti i falsi invalidi? E’ grave, faccia qualcosa subito, in silenzio, senza proclami. Tutte le persone con disabilità sarebbero d’accordo. Ma invece che cosa succede? Che ripetutamente vengono chiamate a controlli “a campione” migliaia di persone disabili “vere”, dalle patologie croniche, dalla certificazione antica e irreversibile. Non solo: le commissioni mediche tendono a ridurre la percentuale di invalidità attribuita in passato, in modo da dimostrarsi virtuosi, senza preoccuparsi troppo di verificare le condizioni complessive di vita di queste persone, che magari non saranno del tutto non autosufficienti, ma che sicuramente, in un Paese in crisi come il nostro, non trovano lavoro, non hanno altre risorse a portata di mano, e spesso senza un’adeguata copertura di invalidità non possono accedere ai servizi essenziali.

Il giro di vite, insomma, è teoricamente condivisibile, ma nella sua concreta attuazione si rivela spesso micidiale per famiglie già fragili, come sanno benissimo le associazioni delle persone con disabilità. Ma l’opinione pubblica viene costantemente bombardata da questo messaggio (recentemente enfatizzato ad Annozero anche dal ministro Tremonti), che secondo me è eccessivo e sicuramente fuorviante.

Un’altra conseguenza gravissima di questo coro greco, è che passa l’idea che la spesa per le pensioni di invalidità è un fardello eccessivo per le nostre tasche, intendo quelle dei contribuenti (notoriamente propensi a pagare le tasse, come si sa). Un messaggio che contribuisce, giorno dopo giorno, a mettere in cattiva luce le persone disabili, vere o false, perché comunque improduttive, costose, praticamente inutili, se non dannose.

E troppi giornalisti preferiscono il titolo facile sul cieco che guida, o sul sordo al centralino, piuttosto che impegnarsi, davvero, in una inchiesta seria e documentata sul percorso che si deve fare per ottenere la certificazione di invalidità e la relativa pensione (da fame). Anche questo è cinismo. Alimentato dal silenzio imbarazzato di molte associazioni, che hanno paura di esprimersi su questo argomento scottante, perché sono impegnate – giustamente – in trincea tutti i giorni nella difesa dei diritti essenziali.

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