L’atteggiamento del ministro dell’Economia Giulio Tremonti continua a essere gravemente lesivo della dignità delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Credevo sinceramente che l’eco delle nostre parole e delle tante prese di posizione, documentate e non offensive, che sono state prodotte in questi giorni dalle associazioni e dai singoli cittadini, avrebbero trovato, in un ministro così importante e apparentemente pronto al contraddittorio, un ascolto, magari critico, ma almeno un ascolto.
E invece mi sbagliavo. La prova è venuta giovedì sera ad “Annozero”, quando, come un disco rotto, Tremonti ha ripetuto due affermazioni gravemente sbagliate. La prima, la peggiore, è ormai un ritornello. Il nostro Paese – secondo il ministro – non può essere competitivo perché ci sono 2,7 milioni di invalidi (falso, quello è il numero delle prestazioni nel loro complesso, pensioni e indennità: il numero reale è di 2 milioni, forse anche meno). La seconda è un lapsus che tradisce una intenzione: il ministro ha detto che non esiste limite di reddito per l’assegno di invalidità. E invece il limite c’è ed è bassissimo. Cito ancora una volta Carlo Giacobini, direttore responsabile di Handylexpress: “Attualmente l’assegno mensile di assistenza viene concesso agli invalidi civili parziali (dal 74 al 99% di invalidità accertata), di età compresa fra i 18 e i 65 anni di età. Per ricevere l’assegno sono previste altre due condizioni: risultare inoccupati e iscritti alle liste di collocamento e non superare il limite reddituale annuale di 4.408,95. Un limite molto basso, quindi. Il combinato di queste condizioni comporta infatti che la concessione di quella prestazione sia piuttosto limitata. L’importo dell’assegno è di 256,67 euro mensili (cifra per il 2010) per un totale annuo di 3336,71 euro”. Il ministro evidentemente pensava ancora all’indennità di accompagnamento, quella da 480 euro mensili, che viene (ancora) erogata alle persone totalmente non autosufficienti, e che Tremonti voleva legare, per il futuro, al reddito. Misura poi rientrata (almeno nell’attuale testo della manovra).
L’assegno di mensile di assistenza, invece, è proprio quello previsto per percentuali di invalidità inferiori, e adesso la manovra propone di alzare l’asticella all’85 per cento. Un aumento del dieci per cento che, come è stato facile scoprire (bastava informarsi prima) non va a colpire affatto i falsi invalidi ma solo persone con disabilità vera, soprattutto intellettiva. Bel colpo, si direbbe. E il tutto pensando di ricavare, a bilancio, fra questo risparmio ipotetico e futuro, e la lotta ai falsi invalidi (ma quanti saranno mai?), una cifra, se non ho capito male, di circa 160 milioni di euro. Questo conto, a quanto pare, è del tutto esagerato. Ma proviamo (anche se non dovremmo) a dare ragione al ministro.
160 milioni di euro sarebbero dunque il contributo chiesto al mondo della disabilità per contribuire al risanamento dei conti pubblici necessario per rimanere in Europa. Per ottenere questa cifra un ministro totalmente incompetente in materia di welfare socio-assistenziale, non solo non ha aperto un tavolo con gli interlocutori giusti (analogo ad esempio a un confronto con le organizzazioni sindacali), ma ha imposto una misura che stravolge in modo iniquo i diritti e i bisogni di una ben precisa fascia di famiglie e di persone, del tutto innocenti e oneste. Questa, signor ministro, si chiama propriamente “macelleria sociale”.
Ma il danno politico e morale è ancor più grave, perché, come ho già scritto, attribuire tout court agli invalidi italiani l’etichetta di improduttivi è non solo ingiusto, ma vergognoso. E’ uno stigma, un pregiudizio, lontano dalla realtà, lontano dalla storia del nostro Paese. Questo danno è incalcolabile, perché il continuo ripetere tale affermazione, nel silenzio generale degli interlocutori (giornalisti, politici, persino oppositori), comporta come conseguenza il convincere ampia parte dell’opinione pubblica che effettivamente le cose stanno così.
Personalmente potrei mettermi a ridere, visto che sono un ottimo contribuente da decenni, avendo iniziato a lavorare (già, signor ministro: io e tanti altri disabili lavoriamo e produciamo reddito) nel 1976. E non ho più smesso. Ma ci sono anche tante persone disabili che effettivamente non possono lavorare, e tante altre che il lavoro non lo trovano, specialmente in alcune zone del Paese che lei conosce bene. Ma non per questo vanno trattate come se fossero la palla al piede del Paese. Fare del moralismo leghista sulla disabilità non fa davvero onore al ministro Tremonti. Ma questa è la situazione. Questa è la manovra che il Parlamento, sicuramente sotto la presentazione di una mozione di fiducia, dovrà varare entro breve.
E allora faccio una proposta alternativa, rovescio il tavolo, e mi rovisto nelle tasche. Penso che dieci euro al mese, per un anno, potrei anche tirarli fuori, per contribuire, da cittadino onesto, a risanare i conti pubblici del mio Paese. Una pizza e una birra al mese. 120 euro in un anno. Non sarei né più ricco, né più povero. Ma se come me volessero fare tutti gli invalidi civili italiani – che sono 2 milioni e non 2,7 – metteremmo insieme qualcosa come 240 milioni di euro (sono debole in matematica, ma questo conto è davvero semplice). Un anno di sacrificio, in cambio di che cosa? Chiederei al ministro Tremonti: prima di tutto di tacere sulla disabilità da qui in poi per i prossimi anni. In secondo luogo di togliere dalla manovra qualsiasi modifica normativa sulle percentuali, sui redditi, su quant’altro riguardi le persone con disabilità. E’ infatti più accettabile che vengano messe le mani nelle nostre tasche (cosa che il premier Berlusconi non vorrebbe mai fare, eppure accade tutti i giorni…) piuttosto che vengano stravolti diritti e principi conquistati a caro prezzo, in decenni di battaglie civili e di accordi parlamentari sempre bipartisan. In un anno di tempo, di moratoria economica, si dia mandato ai ministeri e alle persone competenti, comprese le associazioni rappresentative, di discutere finalmente in modo serio i criteri di certificazione, le misure economiche, i servizi alla persona, alla luce non dello stigma ignorante di Tremonti, ma dei principi sanciti dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che è legge dello Stato italiano.
La mia è una provocazione? Non direi, è una proposta dignitosa, da cittadino che paga le tasse. Da persona con disabilità. Da Cavaliere della Repubblica nominato dal presidente Giorgio Napolitano proprio per il riconoscimento del mio impegno professionale per diffondere i valori e i diritti delle persone con disabilità. Una pizza e una birra al mese, per un anno. Tutti quanti. Tutti noi, persone con disabilità. Cittadini a testa alta. Non imbroglioni, non evasori, non zavorra del Paese. Ci pensi, signor Ministro. E magari, una volta tanto, risponda.
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